Giordano Stabile, La stampa 24/06/2009, 24 giugno 2009
VIA ALLA CORSA CONTRO IL TEMPO
Troppo poco e troppo tardi. Il proverbio anglosassone sembra condannare il nucleare di quarta generazione: le centrali commerciali non saranno disponibili prima del 2030-2040 e, per quanto innovative rispetto agli impianti di seconda e terza generazione (quelli di oggi), non rappresentano il balzo in avanti promesso dalla fusione nucleare, che dovrebbe debuttare a metà del secolo e risolvere una volta per tutte il problema del superamento delle fonti fossili.
Le centrali di quarta generazione sono comunque un notevole salto in avanti. Innanzitutto perché si abbandona il ricorso all’uranio-235 come combustibile per utilizzare l’uranio-238, che in natura è più diffuso (99,28% contro lo 0,71). In realtà dall’uranio-238 si ricava il plutonio, che è il vero combustibile bruciato. Altro vantaggio: quando il reattore è in attività, i prodotti di fissione sono riciclati all’interno, tranne gli elementi transuranici, quelli più radioattivi, che rappresentano il problema delle scorie. E qui arriva la terza innovazione: gli elementi pesanti vengono bombardati con neutroni ad alta energia e perdono così buona parte della vita radioattiva, ridotta a «soli» 300 anni.
Nel mondo ci sono sei tipi di reattori di quarta generazione in sviluppo. I modelli più avanzati sono refrigerati con il sodio, a gas e con il piombo. Hanno vantaggi e difetti. Il primo riprende le esperienze del SuperPhénix. Il sodio diventa liquido a 70° e può assorbire grandi quantità di calore. Il secondo è interessante, perché il gas ad alta temperatura potrebbe essere usato anche per ricavare idrogeno dall’acqua senza spendere energia con cui scindere la molecola. Il terzo, infine, è giudicato efficace, perché il piombo (che fonde a 327°) garantisce una schermatura dalle radiazioni. Ha però un difetto: pesa molto e può generare dei problemi nella struttura della centrale nel caso di sismi. Questi modelli, però, non saranno pronti prima di una trentina d’anni.
L’unico progetto commerciale con tempi ridotti è quello della PBMR, una società Usa che ha sviluppato un impianto con la refrigerazione basato su un letto di piccole sfere di metallo pesante e grafite: l’azienda progetta un impianto dimostrativo da 165 megawatt vicino a Cape Town, in Sud Africa. Il costo è di 250 milioni di dollari, entro il 2014. L’idea è quella di centrali «modulari», in cui otto impianti da 165 megawatt vengono accostati per raggiungere la scala di una centrale tradizionale, da 1000-1500 megawatt.
Questa soluzione permette di passare più rapidamente a una scala commerciale. Il modello della PBMR è unico nel suo genere. C’è solo un altro prototipo. E’ da 10 megawatt ed è in Cina: qui, però, i gas prodotti scaldano caldaie per produrre elettricità con il vapore, mentre quello della PBMR usa il gas per far funzionare direttamente le turbine. Ecco perché ora la la società Usa vuole affinare il modello: punta a centrali con un massimo di 24 reattori affiancati, il che permetterebbe enormi economie e renderebbe questa tecnologia molto attraente. Il Sud Africa sarà il laboratorio di questo esperimento.