La stampa 24/06/2009, 24 giugno 2009
LE MILLE INCOGNITE SULLE SCORIE
Abbiamo allineato le principali ragioni per la ripresa del nucleare in Italia. Vediamo ora le ragioni della prudenza. Il nucleare ci affrancherebbe dall’oligopolio sull’approvvigionamento di petrolio e gas naturale, e non produrrebbre gas serra. Ma la sicurezza di funzionamento e l’eliminazione delle scorie sono, per molti, problemi risolti in modo non ancora soddisfacente.
Due problemi diversi. Il primo legato alla scelta politica tra «nucleare subito» con reattori di terza generazione avanzata (EPR), attualmente commerciali, o reattori evolutivi (INTD - Near Term Deployment Reactors), tendenti a migliorare la sicurezza delle tecnologie esistenti, ma senza veri e propri salti tecnologici; e «nucleare con reattori di quarta generazione», di concetto innovativo per soddisfare le esigenze di sicurezza totale e garanzia di non proliferazione militare. Nessuna soluzione proposta al secondo problema è invece davvero definitiva.
Sul «nucleare subito» dice il Premio Nobel Rubbia: «Non condivido le posizioni sulla relativa sicurezza degli impianti nucleari attuali. Perché un impianto nucleare non è un oggetto statico che si costruisce e che rimane inoffensivo».
Sei concetti di reattore meritano di appartenere alla quarta generazione: a neutroni veloci raffreddati a gas (GFR) o a piombo fuso (LFR, a cui punterebbe l’Italia dopo il 2040) o a sodio fuso (SFR); a sali di combustibile fusi (MSR); raffreddato ad acqua in condizioni termodinamiche supercritiche (SCWR); ad altissima temperatura (VHTR). Con reattori a neutroni veloci sono state fatte due importanti esperienze: a Hanford, presso Richland, (Usa) un reattore da 400 MW termici fu chiuso nel 1978 da Carter per motivi di bilancio; e il Superphoenix di Creys-Malville (collaborazione tra Francia, Italia e Germania), chiuso nel ”97 per guasti al di fuori del nocciolo troppo difficili da riparare.
Il sito di Hanford funzionò ancora dall’82 al ”92 come laboratorio sui flussi neutronici veloci e nel ”95 fu deciso di smantellarlo. Il Superphoenix fu ridotto a laboratorio di ricerca per studiare la possibilità di trasformarlo in un deposito di scorie nucleari. Le ingloriose fini dei due progetti mostrano come i concetti di reattori a neutroni veloci di quarta generazione debbano innovare rispetto a quelle esperienze. Nell’MSR una miscela di fluoruri di sodio, zirconio e uranio fusi circola attraverso canali ricavati nel moderatore di grafite, generando uno spettro di neutroni di fissione epitermico, non veloce. Il più semplice schema dell’SCWR unisce le tecnologie provate (per ora separatamente) dei reattori nucleari ad acqua pressurizzata (PWR) di terza generazione e delle caldaie tradizionali ad acqua «supercritica», cioè a pressione sufficiente per non bollire a 374°C. Infine, il VHTR, un reattore a ossidi o carburi di uranio, moderato a grafite, raffreddato a elio o a sali fusi, funziona a 1000°C, non semplice ma adatto a vantaggiose applicazioni.
Veniamo all’eliminazione delle scorie, radioattive per milioni di anni. Vengono vetrificate per evitare che si sbriciolino e spargano polveri radioattive, racchiuse in bidoni stagni e conservati in depositi: a cielo aperto, come quello americano di Yucca Mountain; o in piscine, adatte solo per piccoli depositi. Dice Giuliano Locatelli dell’Ansaldo Nucleare: «Quello delle scorie radioattive è un falso problema, basta conservarle in depositi geologici profondi». E’ la soluzione francese e svedese, che però non considera che la Terra è un pianeta sostanzialmente liquido, la cui crosta, rapportata al diametro, è più sottile del guscio di un uovo e fatta di zolle mobili. Impossibile garantire per milioni di anni l’assenza di sismi.
C’è poi chi propone di conservare le scorie nelle miniere di salgemma: ma come escludere che, per inquinamento dei mari, le generazioni future ne abbiano bisogno? Altri propongono di conservare i bidoni in fondo a un oceano, ma non è nota una sostanza che resista alla corrosione per milioni di anni. Altri ancora propongono di lanciarle con un razzo sul Sole, ma, se una frazione consistente della potenza installata nel mondo divenisse nucleare, si produrrebbe ogni giorno una quantità di scorie radioattive paragonabile al carico di un razzo. Con un lancio ogni pochi giorni, la statistica di fallimento escluderebbe questa soluzione.
In emergenza (vedi Cernobyl) si coprono le scorie radioattive con mucchi di cemento. Ma le radiazioni emesse dissipano la loro energia nel cemento che le trattiene e lo scaldano, finché questo diventa una polvere. Si può anche risolvere il problema con un circuito di raffreddamento, che però, se si guasta nella parte interna alla cappa di cemento, non è riparabile, come nel Superphoenix. Insomma, dice ancora Rubbia, «nessuno al mondo ha risolto il problema di dove mettere le scorie radioattive a lunga vita in luoghi veramente sicuri per il tempo necessario».
Resta la speranza di eliminare le scorie per trasmutazione nucleare, cioè mediante reazioni nucleari in reattori «veloci», in reattori «bruciatori di transuranici», oppure assistite da particelle accelerate. I reattori a neutroni veloci e bruciatori di transuranici sono di quarta generazione, esclusa dall’attuale «rilancio». Per le reazioni assistite da particelle accelerate non sono state pubblicate sezioni d’urto, cioè quantità effettive di reazione con i flussi di particelle disponibili, sufficienti ad eliminare le scorie al ritmo al quale verrebbero prodotte.
La «Technology Review» del Mit di Boston recava in copertina il simbolo di un deposito radioattivo coperto a metà da un cerotto e il commento era: «La migliore opzione per le scorie nucleari: non sappiamo come immagazzinarle per sempre. Lasciamo la soluzione a una generazione che lo saprà». Un baratto tra un vantaggio energetico per noi e un problema forse insolubile per le generazioni future. Con che diritto?