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 2009  giugno 23 Martedì calendario

LA CITT SANTA DI QOM APRE ALLA PROTESTA DELL’IRAN

Il centro di gravità della crisi politica iraniana non è a Teheran, ma a chilometri di distanza, nella polverosa capitale dell’insegnamento religioso.
Nei mesi che hanno preceduto le elezioni presidenziali in Iran, e perfino dopo quest’ultima settimana di manifestazioni, violenze e instabilità politica, c’è un importante gruppo elettorale che fino a questo momento è rimasto in gran parte in silenzio: i religiosi di Qom, città santa dello sciismo.
Qualche giorno fa una voce è emersa con forza da questa città antica, una voce che avrebbe dovuto mettere in ombra le grida delle centinaia di migliaia di manifestanti e poliziotti antisommossa. Era la voce del grande ayatollah Hossein Ali Montazeri, uno dei fondatori della repubblica islamica, per molti anni il dissidente più illustre dell’Iran, idolo dei giovani e degli iraniani di tutte le generazioni.
Montazeri, che ora ha più di 80 anni, ha rilasciato una dichiarazione sul suo sito in cui denuncia le elezioni come una frode, un’opinione probabilmente condivisa dalle migliaia di religiosi e seminaristi che, lontano dai riflettori, sicuramente stanno facendo sentire il loro peso nella battaglia per il potere all’interno dell’Iran. «La nostra gioventù, sperando di vedere soddisfatta la sua giusta aspirazione, è scesa in campo e ha aspettato pazientemente – ha scritto Montazeri – questa era l’occasione migliore per i rappresentanti del governo di stabilire un legame col proprio popolo. Purtroppo l’hanno usata nel modo peggiore possibile, dichiarando risultati a cui nessuna persona sana di mente potrebbe credere, e a dispetto di tutte le prove di risultati manipolati. E ora stanno tentando una purga, arrestando intellettuali, avversari politici e scienziati». C’è un segreto che pochi conoscono fuori dall’Iran: il regime teocratico teme la maggioranza dei religiosi di Qom. Perché? Perché esponenti del clero come Montazeri sono convinti che la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e il suo protetto, il presidente Mahmoud Ahmadinejad, usino un’interpretazione distorta della teologia sciita a propri fini politici.
La conseguenza, secondo loro, è che l’Iran è diventato uno stato militarizzato e antislamico, dove le milizie islamiche reprimono la popolazione iraniana nel nome di Dio. C’è un altro fatto poco noto a chi non ha sufficiente familiarità con l’Iran: alcuni religiosi sono molto popolari tra i giovani e questi giovani gridano i loro nomi durante le dimostrazioni.
L’immagine macchiettistica dei mullah iraniani è quella di uomini premoderni, oppiomani che nascondono le loro pance prominenti sotto tuniche ondeggianti. Ma durante gli anni in cui ho fatto la corrispondente da Teheran per il Guardian, sono andata spesso a Qom: talmente spesso, in effetti, che dopo un anno circa le autorità mi hanno vietato di tornare nella città. In occasione di una di queste visite gli esponenti del clero mi dissero che ritenevano che Khamenei, mullah di medio rango prima di diventare Guida suprema, nel 1989, avesse accumulato un potere politico enorme proprio per compensare la sua carenza di credenziali religiose.
L’ayatollah Khamenei, a sua volta, ha garantito un potere politico enorme alle Guardie della rivoluzione e ai basij, le milizie islamiche sotto il suo comando. Sono queste le forze che adesso picchiano e sparano sui manifestanti nelle strade di tutto il paese.
Considerando gli strumenti di cui dispone Khamenei, non c’è da stupirsi che nel corso della settimana passata solo pochi esponenti del clero siano stati autorizzati o abbiano avuto sufficiente coraggio da esprimere le proprie opinioni sulla crisi in corso. Ma qualcuno probabilmente sta lavorando dietro le quinte contro Ahmadinejad.
Religiosi come Ali Hossein Montazeri si oppongono al presidente non solo per le politiche repressive da questi adoperate contro il popolo iraniano, ma perché crede in idee che i teologi considerano eretiche, come il ritorno dell’imam nascosto che arriverà sulla Terra dopo una guerra mondiale da cui l’Islam uscirà vittorioso.
Tutto questo non vuol dire che la maggioranza dei religiosi si opponga ad Ahmadinejad e a Khamenei. Probabilmente il clero è diviso e anche quelli che non sostengono Khamenei e Ahmadinejad potrebbero non essere disposti a dirlo pubblicamente per una serie di ragioni, non ultimo il fatto che il clero dipende in parte dallo stato per il finanziamento dei seminari. Prima delle elezioni, i commentatori esortavano i religiosi a dichiarare pubblicamente chi avrebbero appoggiato per la presidenza.
L’Associazione del clero combattente, una delle due associazioni tradizionaliste del clero di Qom, ha molti membri che appoggiano Ahmadinejad. Ma altri membri non hanno preso una posizione ufficiale prima delle elezioni per paura di provocare una spaccatura interna. Solo alcuni esponenti estremisti dell’associazione, come il presidente, l’ayatollah Mahdavi Kani, hanno annunciato apertamente il loro sostegno a Mahmoud Ahmadinejad.
Qualunque sia l’esito della ribellione popolare in Iran, i religiosi che stanno lavorando dietro le quinte peseranno sul risultato. Non vogliono permettere a Khamenei e Ahmadinejad di decidere del destino dell’Iran senza di loro, e non vogliono. nemmeno correre il rischio di perdere la fiducia della popolazione solo perché fanno parte di un sistema teocratico che sta diventando sempre più repressivo.