Alberto Negri, ཿIl Sole-24 Ore 23/6/2009;, 23 giugno 2009
MONITO PASDARAN: BASTA PROTESTE
Due ore prima del tramonto i fari delle auto di Teheran si sono accesi lampeggiando. Una protesta non violenta, che evoca quella del ’78 quando gli abitanti spensero invece tutte le luci della città lasciando che restasse illuminato, nella sua solitudine, soltanto il palazzo dello Shah. Nell’Iran di oggi il potere però non è la monarchia sfibrata dei Palhevi ma un regime pronto a dare battaglia. I pasdaran, le Guardie della rivoluzione, hanno ammonito che useranno la linea dura contro i dimostranti, prospettiva inquietante dopo il sangue già versato. Mentre Mir-Hussein Moussavi alterna gli appelli alla protesta con altri che invitano alla calma, un migliaio di persone sono scese in piazza Haft Tir per ricordare Neda, la ragazza uccisa sabato scorso dalle forze di sicurezza: sono stati dispersi in scontri molto duri con cariche e lanci di lacrimogeni. Si parla di vittime, ma per ora non ci sono conferme.
Le proteste, tutte vietate, sono per le Guardie «un complotto contro la rivoluzione»: hanno quindi schierato i reparti d’élite, dopo le prove non brillanti della Garde vishe, truppe speciali, ma forse non così motivate come poteva sembrare. Gli stessi bassij, le milizie dei picchiatori duri e puri, nei giorni scorsi sono stati costretti in molti casi a battere in ritirata davanti a una folla scatenata.
La minaccia delle Guardie viene dal cuore del sistema. I pasdaran, fondati nel ’79 dopo la rivoluzione, sono una forza politica, militare ed economica con effettivi di almeno 300mila uomini che inquadra anche le milizie dei bassij. L’organizzazione è capillare e surclassa, per fondi e tecnologie, le forze armate tradizionali. Rispondono direttamente alla Guida suprema, Ali Khamenei, e con il governo di Ahmadinejad, lui stesso un ex pasdaran, hanno occupato posti chiave nell’esecutivo: un Iran di generali e capi-manipolo con un progetto autoritario.
La mobilitazione dei pasdaran deve convincere gli iraniani ad accettare il verdetto delle elezioni, sancito ieri, in modo paradossale, anche dal Consiglio dei guardiani, un organo di supervisione costituito da 12 membri, di cui sei religiosi.
Alcuni milioni di voti in più - ha informato il Consiglio - vagano, non identificati, per i seggi elettorali iraniani alla ricerca di un candidato da appoggiare. I voti conteggiati alle ultime presidenziali superano infatti di tre milioni il totale degli aventi diritto: «Ma - dice il Consiglio- queste irregolarità non cambiano il risultato». Un’ammissione grave ma anche un segreto di Pulcinella anticipato nei giorni scorsi: alle presidenziali del 2005 circolavano 6 milioni di certificati elettorali «validi» appartenenti a persone defunte. Una parte andò allora ad Ahmadinejad, sostenuto dalla mobilitazione di bassij e pasdaran, molto abili, soprattutto nelle province più remote, a gestire il mercato dei voti delle anime morte. Questo "tesoretto" di consensi viene solitamente amministrato da chi è al governo: mai in Iran un presidente che si è ripresentato per la seconda volta è stato battuto. Moussavi, concludono i Guardiani, deve farsene una ragione.
Ma queste elezioni sanguinose hanno provocato una lacerazione profonda: anche dai palazzi del potere arriva il dissenso. Ali Larijani, presidente del parlamento, afferma: «Bisogna rispettare chi protesta, una parte notevole della popolazione per la quale il risultato delle elezioni non corrisponde a realtà. Non sono fuorilegge, né posso certo dire loro di non scendere in piazza, piuttosto invito il governo a tenere conto dell’opinione pubblica». Si profila un "terzo partito", della destra religiosa non radicale, che vorrebbe mediare tra il fronte Ahmadinejad e quello Moussavi, rappresentato dalla corrente Motalefeh, la Coalizione, nucleo originario della rivoluzione khomeinista, costituito da politici, ayatollah e bazarì influenti e in posti chiave. Si attende anche di sapere cosa farà il grande assente, Hashemi Rafsanjani, sponsor di Moussavi: il presidente dell’Assemblea degli esperti, organo che elegge e revoca (in casi eccezionali ) la Guida suprema, è accreditato- non si sa con quale fondamento - di un progetto per estromettere Khamenei.
Larijani si limita a proporre alla tv di invitare Moussavi a spiegare le sue ragioni. già un obiettivo ambizioso: sullo schermo è apparso l’altro pomeriggio Mohammad Kosheré, consigliere economico del primo governo Ahmadinejad. Insomma uno dei suoi ma un po’ più moderato. Interrogato sulla crisi, ha protestato perché Moussavi è oscurato dai media statali. A una battuta del conduttore che rigirava il senso della sua risposta ha replicato: «Volete farmi dire quello che volete voi». La linea è passata subito in regia e dopo un breve filmato è tornata in studio: ma Kosheré era scomparso, ospite svanito e non salutato, sostituito da un secondo personaggio. stato questo l’unico momento di ilarità per gli spettatori iraniani inchiodati dalle cronache plumbee di questi giorni.