Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  giugno 23 Martedì calendario

E’ TUTTA SPECULAZIONE


 la speculazione che sta dominando sui mercati del greggio». Dal suo studio nella sede di Louis Capital Market sulla Quinta Strada Edward Morse è uno degli analisti di petrolio più seguiti a Wall Street. Ciò che lo distingue è l’essere aggiornato sui microfenomeni che svela l’orientamento del mercato, e la vicenda di Rotterdam lo conferma.
Che opinione si è fatto delle otto petroliere con a bordo un totale di 16 milioni di barili che non vogliono attraccare?
«E’ una questione di soldi».
Si spieghi meglio...
«Oggi il prezzo del Brent è a 67.15 dollari a barile mentre sappiamo che fra sei mesi starà a 71,75 dollari a barile. Vendere oggi significherebbe rimetterci denaro. Tenerlo fermo sulle petroliere, anche scalando i costi relativi, significa guadagnare fra sei mesi circa 10 milioni di dollari in più. Mi sembra una ragione molto valida per decidere di non attraccare al porto di Rotterdam».
Ma non si tratta di una distorsione artificiale del mercato?
«Si tratta di una decisione basata sull’andamento dei prezzi. Al momento sul mercato c’è troppo petrolio e dunque il prezzo scende ma le prospettive nel medio termine sono di un rialzo».
Perché c’è troppo petrolio?
«La recessione globale sta frenando i consumi. I maggiori Paesi industriali producono e consumano di meno, assistiamo ad una flessione della domanda anche in Estremo Oriente, dove le condizioni restano migliori. C’è bisogno di meno petrolio e questo da un lato fa scendere i prezzi del barile e dall’altro crea eccesso di offerta, con un effetto moltiplicatore al ribasso. L’eccesso di offerta è tale che rischia di far scendere di molto il costo del barile. Per l’industria del greggio si tratta di un danno notevole. Ma visto che nel breve periodo ci si attende una leggera ripresa dei consumi, della produzione e quindi anche del fabbisogno di greggio allora si ricorre ad espedienti come le petroliere ferme di fronte al porto di Rotterdam per guadagnare il tempo necessario per riuscire a fare maggiori profitti».
Come spiega il fatto che sebbene i consumi siano in calo il prezzo della benzina continua ad essere alto?
«Vi sono due spiegazioni. La prima ha a che vedere con il fatto che negli ultimi due mesi a determinare il prezzo del petrolio sono state le aspettative per il futuro imminente. Siamo in un clima che favorisce le speculazioni. Ci si attende un rialzo e dunque il mercato spinge i prezzi in alto. Bisogna tenere presente che in questa maniera gli investitori cercano nel greggio una protezione dall’inflazione».
E la seconda spiegazione?
«Riguarda in particolare le scelte dei governi, soprattutto in Europa, sulla gestione delle imposte che mettono sulla benzina: fanno continuare i prezzi alti sebbene potrebbero farli scendere. E’ noto che mentre negli Stati Uniti l’oscillazione dei prezzi della benzina è molto rapida in Europa succede il contrario. Il costo al distributore è più statico perché quando il prezzo del barile scende rapidamente le imposte governative non fanno altrettanto».
Quali altri effetti ci possiamo aspettare dall’eccesso di offerta di petrolio sui mercati?
«Nelle prossime settimane il prezzo del greggio scenderà ancora. Di conseguenza la spinta per gli investimenti nel settore delle energie alternative come nel rinnovamento degli impianti petroliferi esistenti è destinata a rallentare».