Rocco Cotroneo, Corriere della sera 23/06/2009, 23 giugno 2009
COCAINA SOTTO GLI OCEANI NEI SOMMERGIBILI DEI NARCOS
Artigianali ma ben congegnati arrivano fino in Messico
BUENAVENTURA (Colombia) – Non è un parco divertimenti, né una esposizione sui sogni di Jules Verne. La foresta è tropicale, la pioggia interminabile e questa bizzarra sfilata di trofei, custoditi da uomini in mimetica e mitra al collo, racconta le ultime sulla guerra ai narcos. Base della marina militare colombiana Malaga, costa del Pacifico: davanti ai sommergibili catturati, il capitano Carlos Serrano riesce ancora a stupirsi, anche se caccia trafficanti nel Pacifico da molti anni e pensava di averle viste tutte. Sono sette, in fila, forme e colori come li potrebbe disegnare un bambino, qualcuno più arrugginito, altri non ancora ultimati. Ma tutti veri, e perfettamente funzionanti. «Questo l’abbiamo preso l’anno scorso, quest’altro è un modello assai più evoluto, è qui da due mesi, è lungo venti metri e può trasportare fino a dieci tonnellate di coca. Essenziali, perfetti, che altro ancora inventeranno?».
Se ai primi ritrovamenti di sommergibili, qualche anno fa, si sorrideva alla creatività di qualche boss colombiano, oggi c’è una certezza: la principale rotta di droga del mondo – la cocaina che parte dalla Colombia verso gli Stati Uniti – corre sempre di più sott’acqua. Per essere precisi, a pelo d’acqua perché questi scafi quasi galleggiano, mantenendo fuori solo una minuscola cabina di pilotaggio e i tubi per la circolazione dell’aria. Invisibili a qualunque radar e occhio umano. Costruiti in fibra di vetro, con precisi calcoli su portata e galleggiamento. Velocissimi, lo si intuisce dalle eliche da transatlantico attaccate a motori diesel da centinaia di cavalli. I sommergibili strappati ai narcos non hanno nome, né immatricolazione, ovviamente. Ma i soldati della marina colombiana li hanno ribattezzati con i nomi delle operazioni che hanno portato al loro sequestro.
Ci caliamo dunque all’interno dell’Odin, il più grande di tutti. Sotto al bocchettone di accesso, ci sono due rudimentali panche per l’equipaggio della traversata, di solito quattro persone che convivono giorno e notte con un caldo e un rumore disumano. Tutto il resto serve allo scopo: a poppa i due grandi motori diesel, 350 cavalli ciascuno, e a prua una grande cavità per nascondere i sacchi di polvere bianca. Questi scafi devono percorrere al massimo 1.000-1.500 miglia nel più breve tempo possibile, raggiungere le coste di Panama, Guatemala o Messico. Da qui la coca passa di mano, dalle gang colombiane a quelle centroamericane, che provvedono a farla arrivare negli Stati Uniti.
Li costruiscono nella selva, sotto le mangrovie, nel reticolato di fiumi e canali di questa regione unica, una foresta umida che scende dalle Ande fino al Pacifico, praticamente disabitata. Ci sguazzano a piacere i guerriglieri delle Farc, i paramilitari o bande comuni, tutti insieme coinvolti nel narcotraffico. Più spesso che intercettarli in mare, la marina colombiana scova i sommergibili nei cantieri clandestini dove falegnami e operai esperti in costruzioni navali lavorano con legno, vetroresina e adattano i motori a diesel dei pescherecci. «Catturarli in viaggio è assai difficile, anche perché sono costruiti per essere inondati e affondati in pochi minuti – spiegano alla base Malaga ”. E così alla fine dobbiamo solo soccorrere l’equipaggio alla deriva, e non abbiamo nemmeno prove concrete per arrestarli».
Meglio lavorare di intelligence e scovare in terra i cantieri, dunque, anche se in questo modo di droga non se ne trova quasi mai. La coca arriva all’ultimo momento, e viene caricata sul sommergibile quando questo è già prossimo all’oceano. Giocando con le maree, molto forti in questa regione, tutto avviene al sicuro. O quasi.
La chiave del fenomeno sommergibili, racconta il capitano Serrano, è il costo-beneficio. «Stimiamo che costruire un aggeggio come questo costi ai narcos colombiani anche un milione di dollari. Aggiungiamoci 150.000 dollari di ricompensa all’equipaggio. Ebbene nove tonnellate di cocaina che riescono a giungere a destinazione valgono sul mercato finale oltre 200 milioni di dollari. La spesa iniziale, dunque, è assai contenuta ». Difatti questi sommergibili nascono per fare un viaggio solo. Arrivati in prossimità di una spiaggia messicana, si scarica la coca e si affonda il tutto. Gli agenti dell’antidroga Usa ritengono che un terzo della coca in arrivo dalla Colombia viaggi così, in rapido aumento rispetto ai mezzi più tradizionali, tra cui le lance veloci e i carichi nascosti nei container. «Il fatto – dicono alla base di Malaga – è che risulta praticamente impossibile stabilire quanti ce ne sfuggono per ognuno che riusciamo a catturare».
«La quantità di coca che riesce ad arrivare a destinazione in un colpo solo è tale, che probabilmente ai narcos basta non perderne uno su 10 affinché il gioco valga la candela», stima il capitano Serrano, dall’alto delle sue 24 catture in tre anni. E la partita della tecnologia al servizio del narcotraffico non finisce probabilmente qui. Da recenti scoperte, il salto di qualità potrebbe essere la costruzione di sottomarini veri e propri, in grado di navigare a profondità rilevanti e trasportare anche centinaia di tonnellate di cocaina alla volta. Un business talmente colossale che trovare ingegneri e tecnici ad altissimo livello non pare un problema.