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 2009  giugno 22 Lunedì calendario

SI SGONFIA LA BOLLA DEI BIG: ”NOVE SU 10 SONO INATTIVI»


Secondo Technocrati solo il 5% dei diari online è aggiornato.

E i social network come Twitter? Abbandonati dopo un mese
Dopo anni di pa­negirici sulle magnifiche sor­ti e progressive del Web 2.0, redatti dai vari Kelly, O’Reilly, Benk­ler, Tapscott e altri can­tori della democratizza­zione dell’economia, del tramonto delle gerar­chie, delle nuove oppor­tunità di partecipazione politica dal basso, del «citizen journalism», au­menta il numero di colo­ro che trovano il corag­gio di gridare che il re è nudo. L’ultimo è il socio­logo franco-australiano Mathieu O’Neil che, nel libro «Cyberchiefs: Auto­nomy and Authority in Online Tribes», dimo­stra come l’autonomia degli utenti del Web 2.0 da potere, mercato e ge­rarchie sia, nei fatti, una bufala.
Piattaforme come Dig­ger e Wikipedia, citate come esempi di coope­razione spontanea e anarchica fra centinaia di migliaia di internauti, rivelano insospettati lati oscuri. C’è, per esem­pio, la «Digg mafia», il cerchio di eletti che pilo­ta i risultati del «voto di qualità» della massa de­gli utenti, decidendo quali siti meritino di di­ventare famosi. E c’è il Wikipedia Arbitration Committee: una delle va­rie burocrazie online che stanno lentamente strangolando l’utopia di una grande opera redat­ta da una comunità di scrittori «liberi ed egua­li ».

Potere e Facebook
Sono soltanto due de­gli esempi che O’Neil ci­ta a sostegno della pro­pria tesi: nel Web 2.0 di­suguaglianza, manipola­zione e sfruttamento non sono affatto spariti, ma si manifestano con modalità nuove; nasco­no, cioè, da una gestio­ne quasi tribale del pote­re, fondata sul carisma personale dei capi: i qua­li ottengono legittima­zione da procedure di «autorità indicizzata» (come il numero dei let­tori dei propri blog o de­gli amici reclutati su Fa­cebook) invece che da procedure di designazio­ne trasparente.
A queste critiche vie­ne obiettato che, quan­d’anche stessero emer­gendo nuove gerarchie nel popolo della Rete, le tecnologie del Web 2.0 hanno consentito a una quota ampia della popo­lazione di usufruire de­gli strumenti per produr­re e distribuire idee, co­noscenze e informazio­ni: forse pochissimi blog hanno milioni di lettori, ma milioni di blog han­no almeno qualche deci­na di lettori. Ma è davve­ro così? Niente affatto.
Da una recen­te ricerca di Te­chnorati risulta che, sui 133 mi­lioni di blog cen­siti dal portale, solo 7,4 milioni, cioè il 5%, han­no pubblicato qualcosa negli ultimi quattro mesi, mentre 1,5 milioni (l’1,1%) sono stati ag­giornati nell’ultima setti­mana e una esigua pattu­glia di 900 mila blog (lo 0,7%) è stata aggiornata nelle ultime 24 ore. In al­tre parole, poco meno del 95% dei blog sono, di fatto, inattivi.
Colpa della concor­r enza dei social network, più semplici da usare e meno impe­gnativi sul piano degli in­vestimenti di tempo ed energie? Forse, ma i dati di due ricerche dedicate a Twitter – il social network che vanta il più elevato tasso di espan­sione negli ultimi mesi – ci dicono che anche qui vige la stessa logica. La prima indagine, con­dotta dall’Università di Harvard, ha appurato che il 10% degli utenti genera il 90% dei conte­nuti che circolano nel network; la seconda, rea­lizzata da Nielsen, rivela che il tasso di abbando­no del servizio (vale a di­re la percentuale di uten­ti che, pur essendo titola­ri di un account su Twit­ter, non «postano» nul­la) è del 60% a un mese di distanza dalla data dalla sottoscrizione di un account, mentre sale al 90% se misurato su tempi più lunghi.

Gli utenti laureati
Ci sono altri due dati interessanti da aggiunge­re: 1) i membri delle éli­te che monopolizzano il potere di comunicare so­no, perlopiù, maschi, bianchi, di reddito eleva­to e laureati; 2) il «reten­tion rate», cioè il tasso degli utenti che perman­gono attivi sulla piatta­forma il mese dopo ave­re sottoscritto un ac­count, è più elevato su Facebook e MySpace, dove si scambiano chiac­chiere, musica, foto e al­tri contenuti leggeri, ri­spetto a Twitter, cultural­mente più sofisticato (benché preveda la reda­zione di testi brevissi­mi). Conclusioni: non solo sono pochissimi (e appartenenti agli stessi strati sociali che espri­mevano le vecchie élite) quelli che reclutano mi­gliaia di lettori (nel caso dei blog) o di fan (nel ca­so di Twitter e altri so­cial network); ma la schiacciante maggioran­za (e anche qui si tratta dei soliti esclusi) degli utenti del Web 2.0 regre­disce in tempi brevi dal­lo status di produtto­re- consumatore allo sta­to di semplice consuma­tore di notizie.