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 2009  giugno 22 Lunedì calendario

«Bobby l’americano» ci ha messo poco a farsi retrocedere in cucina. Troppi piatti da allineare sugli avambracci per camminare disinvolto fra i clienti

«Bobby l’americano» ci ha messo poco a farsi retrocedere in cucina. Troppi piatti da allineare sugli avambracci per camminare disinvolto fra i clienti. E troppi bicchieri pericolosi in curva. Insomma, alla sala non era adatto. Ma nemmeno ai fornelli. Così, dopo undici giorni, il titolare gli ha dato il benservito. «Non ero certo il cameriere migliore di Bologna», ammette ora lui. In pizzeria, per i colleghi era semplicemente «l’americano», al massimo «Bobby l’americano». «Quando non serve evito il cognome, se no poi la gente non è più naturale con me», osserva l’ex cameriere, all’anagrafe Robert F. Kennedy III. Un pezzo di storia Un cognome che è un pezzo di storia d’America. Suo nonno era Robert Francis Kennedy, il senatore candidato alla Casa Bianca assassinato a Los Angeles nel ”68, e il suo prozio John Fitzgerald Kennedy, il presidente ucciso a Dallas nel 1963 (la moglie Jackie è stata la sua madrina). Bobby, 25 anni a settembre, non li ha mai conosciuti. Parla della sua famiglia come di una grande «tribù». Lui stesso, primogenito di Robert Jr (il terzo degli undici figli del senatore), ha tre fratelli, due sorelle e una quarantina di cugini. «Più o meno - calcola ironico -, perché solo mia nonna Ethel conosce il numero esatto». Prima della laurea in Relazioni Internazionali alla Brown University di Washington Dc (2007), Bobby ha vissuto oltre un anno a Bologna grazie ad uno scambio universitario. «A Firenze e Roma sono abituati ai turisti, rischi di parlare solo inglese - lo consigliò un amico -. Meglio Bologna». E così lo sbarco sotto le Due Torri nell’agosto del 2005. Un anno fra case sgangherate e spaghetti aglio e olio che ora Bobby vuole trasformare in una commedia «che racconti l’Italia agli americani». Ciak, si gira Il primo ciak a dicembre o gennaio, con un cast di attori non professionisti (lui e gli amici conosciuti in città), qualche cameo vip (Alec Baldwin e «un’attrice premiata con più Oscar che incontrerò a Los Angeles»), produzione italiana (Marco Gualtieri di TicketOne) e regia statunitense. Il film, in inglese maccheronico e italiano sottotitolato, sarà un collage «di 500 storie vere di ragazzi come me - spiega -. Il mio sogno è quello di vivere con un piede in Italia e l’altro in America. Così dopo la laurea sono tornato (a Bologna e Lecce) per creare un ponte fra i due Paesi. Prima ho pensato a un’agenzia di viaggi, poi ad un film. E ho scritto la sceneggiatura». «Ameriqua», questo il titolo dell’opera prima di Bobby, sarà un lungometraggio ricco di dettagli naïf, con la corsa in Ape da Napoli a Roma, le colline del Chianti ammirate da un finestrino e la vita universitaria tra portici e tortellini («Girerò a Bologna l’80% delle scene»). Un viaggio d’iniziazione di un americano a spasso per l’Italia con protagonisti Robert III (come «Charlie») e Lele Gabellone, ex studente salentino «che è stato il mio coinquilino e ora è il mio migliore amico»: «Un mix fra realtà e fantasia, in cui racconto di feste nell’università occupata, cosa che negli Stati Uniti non si vede da decenni, o di cene pasta e tonno nelle case sovraffollate dove ho vissuto (nelle centrali via Paglietta e in via S. Stefano, ndr)». E poi le serate al Corto Maltese e le corse «in vespa sui colli» alla Lunapop («Io e Cesare Cremonini siamo diventati amici»). Nel film c’è anche una fidanzata: «Una storia inventata - glissa -: all’epoca avevo la ragazza negli Usa». «I miei genitori mi appoggiano in questo progetto», spiega Bobby, che negli Stati Uniti si occupa da anni di due fondazioni: una per la tutela dell’ambiente e l’altra, dedicata al nonno, per la difesa dei diritti umani. Inoltre ha fondato e dirige «Ameritocracy», società che gestisce un sito web in cui si fanno le pulci a presidenti e membri del Congresso. D’altronde Robert III, sveglio, alla mano, stessi tratti gentili del nonno, la politica ce l’ha nel sangue. La profezia Gli piace ricordare la «profezia» del senatore Kennedy, che immaginò un «afroamericano alla guida della Casa Bianca fra quarant’anni», e lo stupore dei commensali quando, presente un Barack Obama quasi sconosciuto, sua nonna disse: «Avete davanti il nuovo presidente». Bobby ha fatto campagna elettorale porta a porta per Obama e l’ha incontrato due volte. «Un uomo simpatico e intelligentissimo - lo descrive con orgoglio -. Con Bush l’America aveva una pessima reputazione, ma ora possiamo uscire da quel buco nero». L’enorme dinastia Kennedy si è riunita una delle ultime volte proprio in occasione dell’insediamento di Obama, oppure per l’intitolazione al nonno di un ponte della Grande Mela. Impegno e ricorrenze, l’importanza di chiamarsi Kennedy. «In Italia invece - sorride Robert, che ieri è ripartito per New York dopo qualche giorno a Firenze, Bologna e Milano -, per un anno sono stato solo Bobby. E mi si è aperto un mondo».