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 2009  giugno 22 Lunedì calendario

Gazprom, il gigante russo del gas, s’è scoperto i piedi d’argilla. I consumi crollano, i prezzi scendono, l’indebitamento sale e il gruppo non riesce a tener dietro ai piani di investimento compilati qualche anno fa, quando i listini dell’energia erano molto più alti

Gazprom, il gigante russo del gas, s’è scoperto i piedi d’argilla. I consumi crollano, i prezzi scendono, l’indebitamento sale e il gruppo non riesce a tener dietro ai piani di investimento compilati qualche anno fa, quando i listini dell’energia erano molto più alti. Così rinvia l’apertura di giacimenti e gasdotti in attesa che un mercato più favorevole renda sostenibili nel tempo gli investimenti miliardari necessari per avviare l’estrazione di metano e costruire le pipeline che lo portano in giro per il mondo. L’Europa è preoccupata: teme che la frenata sia troppo repentina e che, in futuro, possano esserci problemi di approvvigionamento. Il vecchio continente compra quasi tutto il combustibile a Mosca. Sono le controindicazioni del prezzi energetici che scendono: i paesi produttori preferiscono tenere gas e petrolio sottoterra in attesa di poter incassare di più. E soprattutto non si azzardano a spendere nell’incertezza dei profitti futuri. Non è una buona notizia per l’Italia, che produce il 60% della sua elettricità bruciando gas. Estrazioni rinviate Sia come sia, Gazprom temporeggia. Rinviato di un anno l’avvio della produzione del giacimento di gas Bovanenkovski, sulla penisola dello Yamal, dal terzo trimestre 2011 al terzo trimestre 2012. Sottoterra si stima ci siano quasi cinquemila miliardi di metri cubi di gas. Di conseguenza è stata rinviata anche l’apertura del gasdotto Bovanenkovo-Ukhta (1.200 chilometri a nord-est di Mosca), che avrebbe dovuto porare l’oro blu verso occidente. Anche l’apertura del giacimento di Kovykta, una riserva da duemila miliardi di metri cubi scoperta nella Siberia orientale, è stata ritardata più volte. Di lì dovrebbero partire le forniture destinate alla Cina, ma i colloqui tra Gazprom e Pechino sono fermi al 2006, quando firmarono un progetto per realizzare un gasdotto della portata di 80 miliardi di metri cubi all’anno. Anche di questo non s’è ancora fatto nulla: i cinesi vorrebbero legare il prezzo del combustibile a quello del carbone, di cui sono grandi consumatori, invece che a quello del petrolio come si fa abitualmente. Mosca ha risposto niet, a questo punto è impossibile partire secondo il calendario previsto, cioè nel corso del 2011. E il gas resta sottoterra. I vicini di Mosca Intanto continua la crisi con i vicini di casa dell’ex Urss, sempre in difficoltà a pagare le forniture a Gazprom. In questi giorni Mosca ha recapitato alla Bielorussia una bolletta da 230 milioni di dollari: Minsk deve pagarla entro il 23 giugno o si vedrà chiudere il rubinetto. La tensione è alta anche con l’Ucraina, che ha pagato fino a maggio ma non è sicura di poter onorare la prossima scadenza. E di qui vengono altri grattacapi per Bruxelles, visto che dalla Bielorussia transita il 20% del gas destinato all’Europa e il resto passa attraverso l’Ucraina. L’ad di Gazprom Alexei Miller, nei giorni scorsi, è stato preciso sul punto: «Se gli ucraini dovessero saltare una scadenza il gas per l’Europa sarebbe in pericolo. Spero ne discutano i capi di stato Ue. Stiamo cercando di istituire un consorzio Ue-Russia che aiuti a finanziare l’Ucraina e garantisca la sicurezza del gas in transito». Nel frattempo il governo di Kiev ha ammesso che la situazione dei prossimi pagamenti è «molto difficile». Se Kiev non paga L’ipotesi che ancora una volta gli ucraini non siano in grado di onorare i loro impegni, insomma, è tutt’altro che peregrina. Nei giorni scorsi la Commissione europea ha sollecitato Gazprom e Naftogaz Ukraini a ricercare una soluzione «stabile» e «duratura» per assicurare il transito del gas dalla Russia verso l’Ue. Bruxelles parla chiaramente di una «possibile interruzione degli approvvigionamenti di gas dalla Russia all’Europa attraverso l’Ucraina». E Silvio Berlusconi, reduce dal vertice dei capi di governo dell’Unione, ha ammesso: «C’è un’emergenza vera, tra due mesi le forniture potrebbero interrompersi». Una nuova riunione è stata fissata per il prossimo 2 luglio, alla vigilia della scadenza della prossima fattura. Per aiutare Kiev l’Europa deve sborsare 4-5 miliardi. Se non lo farà, i rischi sono chiari a tutti: già nel 2006 e all’inizio di quest’anno, quando Mosca ha adottato la linea dura chiudendo i rifornimenti, Kiev ha risposto pompando il gas destinato all’Europa.