Sergio Romano, Corriere della Sera 22/06/2009, 22 giugno 2009
POUJADE E DI PIETRO DUE IRRESISTIBILI ASCESE
L’avanzata di Di Pietro mi ricorda il Poujadismo francese degli anni Cinquanta, nato come ribellione al potere e all’intellettualismo. Durò, se ben ricordo, una o due legislature acquisendo decine di deputati al Parlamento e poi, come una meteora, scomparve. Di Pietro oggi raccoglie, semplificando, coloro che «odiano» Berlusconi e non ha una linea politica matura. Ora che ha avuto successo, necessariamente dovrà «diluire» la sua ribellione, dovrà essere più «intellettuale» e dovrà fare anche della politica. Tutto ciò lo allontanerà da chi lo ha votato, per poi scomparire. Lei cosa ne pensa?
Marcello Ortera
m.ortera@libero.it
Caro Ortera,
Suppongo che il nome di Pierre Poujade non dica nulla alla maggior parte dei lettori. Ma la sua irresistibile ascesa fra il 1953 e il 1956 fu uno degli episodi più sensazionali della IV Repubblica francese. Nel 1953, dopo qualche trascorso politico nei movimenti della destra fascisteggiante alla vigilia della guerra, Poujade era soltanto il proprietario di una cartolibreria a Saint Céré, nella Francia centrale. Ma nel luglio di quell’anno si mise alla testa di un gruppetto di commercianti che impedì agli ispettori delle imposte di verificare i libri contabili di un negoziante della città. Come un fiammifero in un pagliaio quella prova di forza suscitò manifestazioni analoghe in altri dipartimenti francesi e creò la base popolare di un movimento – Unione di Difesa Commercianti e Artigiani – che Poujade creò in novembre. In meno di due anni il movimento raccolse 400 mila membri e lanciò un arruffato programma politico contro tutti coloro che, secondo il fondatore, dissanguavano il «povero cittadino»: capitalisti, ebrei, finanzieri internazionali, alti burocrati, intellettuali. Nelle elezioni del gennaio 1956 il partito ebbe due milioni e mezzo di voti e mandò all’Assemblea nazionale 52 deputati fra cui un esordiente di 28 anni, Jean-Marie Le Pen, che avrebbe fondato qualche tempo dopo il Front National e conteso a Jacques Chirac nel 2002 la carica di presidente della Repubblica. In Parlamento Poujade si atteggiò a difensore della Francia profonda contro la Francia cosmopolita, intellettuale e decadente, e sostenne la causa dei coloni francesi in Algeria. La sua fortuna politica durò sino al ritorno di de Gaulle al potere nel 1958, quando le correnti dell’insoddisfazione e della protesta trovarono sfogo nella rivoluzione morale e istituzionale lanciata dal generale.
Non credo che questo ritratto, caro Ortera, assomigli, se non marginalmente, a quello di Antonio Di Pietro. Poujade rappresentò il malumore dell’uomo della strada in un momento in cui la Francia, dopo il conflitto, doveva completare la ricostruzione, modernizzare le sue strutture economiche, adottare una legislazione fiscale corrispondente alle esigenze di uno Stato moderno. Il suo movimento assomiglia a quello dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini più di quanto non assomigli all’Italia dei Valori. Anche Di Pietro, come Giannini e Poujade, interpreta e sfrutta l’insoddisfazione del Paese per la sua classe politica. Anche Di Pietro ha i toni coloriti e provocatori del caudillo populista. Ma nelle sue incarnazioni ministeriali ha dimostrato di essere sensibile alle esigenze della modernizzazione e non è né xenofobo né tanto meno razzista. L’Italia dei Valori potrebbe essere una creazione effimera, ma credo che Di Pietro resterà ancora, indipendentemente dalle fortune del suo partito, sul palcoscenico della politica nazionale.