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 2009  giugno 22 Lunedì calendario

MALACALZA, CHI E’ L’UOMO D’ACCIAIO CHE BLINDA IL SALOTTO DI TRONCHETTI


IL PERSONAGGIO /L’imprenditore genovese che ha acquistato il 3,5% nella Camfin di Tronchetti Provera con un’opzione per salire al 25%

E’ salito più in alto, Vittorio Malacalza. Lui nega, sostenendo invece che è sceso, dal quattordicesimo al decimo piano, nel grattacielo della centralissima piazza Piccapietra, dove ha sede il suo gruppo, glissando sull’improvvisa notorietà mediatica per l’ingresso nel gruppo guidato da Marco Tronchetti Provera, con una quota iniziale del 3,5% di Camfin. A presidiare il business di famiglia dall’acciaio all’energia, passando per il biomedicale e l’alimentare ci sono oggi i figli Davide e Mattia. Lui si è effettivamente trasferito un po’ più sotto, in un ufficio senza nemmeno la targa, per studiare con calma i tanti dossier che gli vengono sottoposti in questi mesi. Così è Vittorio Malacalza, genovese di origini piacentine, industriale che pochi conoscono, nonostante faccia impresa da mezzo secolo, sia stato a lungo alleato del re dell’acciaio Bruno Bolfo, coltivi oggi nuovi business con partner come Marcellino Gavio e abbia facilità di dialogo con il mondo della politica di prima fila, da Claudio Scajola a Pierluigi Bersani.
Poca voglia di apparire, tanta di fare, Malacalza ama le imprese impossibili, o comunque difficili. E non sempre ha successo, soprattutto in una realtà come quella genovese, abituata al gioco di squadra e, ancor meglio, ai veti incrociati per bloccare chi della squadra non fa parte. E per uno che ai salotti ha sempre preferito le partite a scopone al ristorante "Europa" di galleria Mazzini o nella sua Bobbio, perla dell’Appennino piacentino in cui è nato e in cui torna appena gli è possibile, non tutto può andare bene.
Così, al nuovo alleato di Tronchetti Provera non è riuscito di conquistare la presidenza del Genoa Calcio e nemmeno quella della locale Confindustria, sconfitto per un pugno di voti dal trentaseinne Adriano Calvini, amministratore delegato di una società che importa frutta secca. Lui che di anni ne ha esattamente il doppio (72 il prossimo 17 settembre) non l’ha presa bene, ma ha tirato avanti per la sua strada. «Ho dato la mia disponibilità ha spiegato se hanno ritenuto di non coglierla, pazienza».
La grande notorietà di queste settimane è però conseguenza diretta di un episodiochiave nella sua vita di imprenditore, accaduto due anni fa: la vendita delle sue aziende siderurgiche riunite nella Trametal al magnate ucraino Rinat Achmetov, proprietario fra le altre cose dello Shaktar Donetz, fresco vincitore della coppa Uefa. Valore della transazione, mai comunicato, oltre un miliardo di euro. E tutto questo, solo pochi mesi prima dell’esplosione della crisi.
Cercato a più riprese dalla politica, lui risponde sempre allo stesso modo: «Faccio un altro lavoro e non ho alcuna intenzione di cambiare».
Così è dalla fine degli anni Cinquanta, quando il giovane Vittorio, costretto a lasciare gli studi di Ingegneria per l’improvvisa scomparsa del padre, prende le redini della piccola azienda di famiglia. L’inizio è legato all’attività commerciale di materiali per l’edilizia e poi di componenti per l’impiantistica industriale e civile. Ma la prima svolta arriva nel ”63, quando Vittorio Malacalza riprende l’attività di costruzioni, già intrapresa dal padre, diventando presto uno dei partner di fiducia di Autostrade. Dieci anni di business, poi la prima robusta diversificazione, insieme con il fratello, nella componentistica per l’energia, attraverso la "Sima", che ancor oggi è rimasta nel perimetro del gruppo.
Il vero salto nel gotha dell’economia italiana arriva però alla metà degli anni Ottanta, quando Malacalza rileva una partecipazione di minoranza nella Duferco di Bruno Bolfo, colosso del trading siderurgico. In pochi anni, arriva al 50% del gruppo e viene nominato amministratore, ma il sodalizio si interrompe nel ”95. Malacalza viene liquidato dal socio e si mette in proprio, cominciando a mettere insieme quei tasselli che in pochi anni daranno vita a un mosaico da 500 milioni di fatturato e 600 dipendenti. All’interno della Castel finiscono innanzitutto le attività siderurgiche della Trametal, una piccola società che dal ”95 al 2002 quadruplica la sua produzione di acciaio, grazie anche all’acquisizione di un impianto di laminazione in Gran Bretagna, a Newcastle. E a fianco della produzione di acciaio, arriva rapidamente il trading. Nel ”97 l’alleato è la Mag Steel, quattro anni più tardi è il colosso cinese Baosteel, di Shangai, quinto operatore al mondo, per cui Malacalza si assicura la commercializzazione in esclusiva per l’Europa dei suoi prodotti. Poi arrivano l’acquisto di una storica azienda di tubi, in provincia di Piacenza, la Tectubi, e il rafforzamento del business impiantistico nei settori dell’energia e delle infrastrutture.
Nel 2001 Malacalza sfila all’Ansaldo Energia la controllata Superconduttori, oggi Asg, che firma i grandi magneti per il Cern di Ginevra. Non pago di affari, Malacalza si allea con la giapponese Itochu Corporation per la vendita di prodotti italiani in Asia e per il commercio di caffè e cacao.
Nel 2007 sul suo tavolo arriva l’offerta della Metinvest di Achmetov che per rafforzare la sua presenza in Europa è disponibile a rilevare Trametal. Inizia una trattativa serrata che porta alla cessione delle attività di produzione siderurgica. Passano pochi giorni e Malacalza annuncia la sua intenzione di rientrare nel business, realizzando un grande impianto di laminazione all’interno delle aree della Ferrania, lo storico marchio che realizza pellicole fotografiche, che l’imprenditore genovese, insieme a Marcellino Gavio e agli armatori Messina, ha rilevato con l’intenzione di modificarne la mission, orientandola appunto sull’energia e la logistica. Sembra l’inizio di una avventura di successo, diventa tutto l’opposto. La collaborazione fra Malacalza, che nell’operazione intende investire 600 milioni di euro in alleanza con i partner cinesi della Baosteel, e i Messina si interrompe bruscamente, per incomprensioni sulla gestione del business. Anche Gavio si sfila e Ferrania resta tutta agli armatori. Ma l’addio a Ferrania, su cui molto si erano spesi il ministro Claudio Scajola e il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando, si rivela un boomerang per Malacalza, sceso nel frattempo in corsa per la presidenza degli industriali genovesi. Il lavoro dei saggi incaricati di sondare la base associativa si risolve con un’affermazione netta di Malacalza, a cui va il 70% dei gradimenti. Ma al ballottaggio arriva anche Giovanni Calvini, inizialmente sostenuto dal mondo dello shipping, da cui proviene però anche il presidente uscente, Marco Bisagno. Malacalza non fa campagna elettorale, attende solo il voto del direttivo, chiamato a pronunciarsi sui due candidati, e quasi non si accorge che le cose, ai vertici dell’associazione, cambiano rapidamente. Al momento del voto, infatti, perde. «Forse è meglio così» commenta. E si rituffa nel business.
Sul suo tavolo passano i dossier più caldi, dall’Alitalia al nucleare, fino al Ponte sullo Stretto. Ma arriva anche la telefonata di Marco Tronchetti Provera che cerca alleati industriali per rafforzare finanziariamente il vertice del gruppo. Malacalza accetta e, affiancato come advisor legale dallo studio Cleary Gottlieb, acquista con la finanziaria di famiglia, la Hofima, che ha sede a Milano in via Montenapoleone, il 3,5% della Camfin dalla Gpi, insediandosi così in cima alla catena di controllo che porta alla Pirelli. 12,2 milioni di investimento iniziale, con la possibilità di salire fino al 25% della holding. La Borsa premia l’operazione, più 52% in pochi giorni. Malacalza, in barca nel Mar Ligure, ringrazia e prepara altri business.