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 2009  giugno 22 Lunedì calendario

MULTINAZIONALI L’ANNO ORRIBILE DEI SUPERGIGANTI


Per misurare fino in fondo gli effetti della Grande Crisi sulle maggiori aziende del mondo bisognerà aspettare grosso modo un anno. Bisognerà, cioè, avere in mano i conti esatti dell’annata 2009. I bilanci del 2008 (gli unici finora disponibili, come è ovvio) si sono infatti chiusi nel complesso non male, con fatturati in crescita e utili che tengono abbastanza bene. Ma allora la crisi non ha colpito le grandi multinazionali?
No. Ha picchiato duro, e molto. Solo che (secondo l’annuale grande ricerca di R&S Mediobanca) per ora il fenomeno è in parte mascherato da due elementi.
In sostanza, la prima parte del 2008 era andata benissimo, e questo ha consentito di chiudere i conti a fine anno in modo positivo. Inoltre, per le compagnie energetiche c’è stato un vero e proprio boom e questo ha rialzato la media di tutti i conti consuntivi.
Comunque, qualcosa si comincia a vedere. E poi ci sono i conti del primo trimestre 2009, e qui la tragedia diventa manifesta e ben visibile, impressionante.
Ma andiamo con ordine. La ricerca di R&S Mediobanca riguarda 368 delle maggiori multinazionali del mondo, con circa 28 milioni di dipendenti in tre grandi aree.

Nord America, Europa e Giappone. Se si va a vedere il solo dato del fatturato 2008 (in parte stimato) la Grande Crisi non c’è. Risulta infatti che le multinazionali americane hanno aumentato il giro d’affari del 9,8 per cento mentre quelle europee hanno fatto anche di meglio: con una crescita delle vendite del 10 per cento.
Solo i giapponesi (ma quelli stanno sempre in crisi) hanno visto scendere il loro fatturato del 6,5 per cento.
E qui va detto subito che, sotto il profilo del fatturato, il 2008 si iscrive in una lunga serie di annate buone, soprattutto a partire dal 2001. Un osservatore che non sapesse nulla della Grande Crisi potrebbe concludere che nel 2008 è continuato il solito boom che da anni fa grandi e ricche le maggiori multinazionali del pianeta.
Se però si passa a vedere i dati sui guadagni, la musica comincia a cambiare, già nel 2008. Quando si parla di guadagni con gli specialisti si fa presto a perdersi perché gli indici da utilizzare sono tanti. Ma, se prendiamo un indicatore secco (l’utile netto in percentuale sul fatturato), allora le cose cominciano a diventare chiare. Le multinazionali europee, ad esempio, nel 2002 hanno un utile netto in percentuale sul fatturato del 3,8 per cento: un valore molto basso. Ma subito arrivano gli anni del grande boom (quelli che poi porteranno alla Grande Crisi) e è festa: nel 2007 l’utile netto arriva a essere il 9 per cento del fatturato. Più del doppio, cioè, di quello di cinque anni prima. E questi sono soldi veri, miliardi di euro.
Ma già nel 2008 (secondo le stime di R&S Mediobanca) la storia cambia segno: l’utile netto delle multinazionali europee scende infatti al 6,2 per cento del fatturato. In sostanza perde per strada, in un solo anno, un terzo dei risultati che aveva acquisito.
Storia quasi analoga presentano le multinazionali americane. Se nel 2002 avevano un utile netto pari al 4 per cento del loro fatturato (poco più di quelle europee), nel 2006 arrivano all’8,7 per cento. E per loro la discesa comincia già nel 2007: nel 2008, comunque, l’utile netto cala al 5,8 per cento del fatturato.
Il Giappone presenta una storia analoga alle due appena viste, ma a tinte più fosche. Anche nel Sol Levante gli anni della ripresa sono quelli che stanno fra il 2002 e il 2007. Solo che l’utile netto arriva, come massimo, solo al 4,1 per cento del fatturato e poi nel 2008 c’è il crollo all’1,1 per cento. Quando arriveranno i dati del 2009 (fra un anno) è quasi sicuro che le multinazionali giapponesi si presenteranno di nuovo con valori negativi e anche di parecchio, peggio di come erano nel 2001.
Ma il 2008 è stato, per quanto riguarda i conti delle multinazionali (e il lavoro dei quasi 30 milioni di loro dipendenti) un anno intermedio. Un anno nel quale la crisi comincia a mordere, ma ancora non fa danni gravi e difficili da riparare.
Già nel 2008, comunque, è avvertibile qualche scossa di terremoto importante. Il patrimonio netto delle aziende comincia a perdersi per strada. E in misura impressionante. Nel 2006, ad esempio, l’insieme delle multinazionali americane aveva un patrimonio netto che era pari a quasi il 260 per cento rispetto ai propri debiti finanziari. Ma nel 2008 il patrimonio netto era sceso al 180 per cento dei debiti finanziari. E dietro questi numeri c’è tutta una storia. Le cause di questo deterioramento sono infatti almeno tre. Da una parte le multinazionali in un primo tempo (a crisi già partita) hanno fatto molti buy back (hanno comprato cioè azioni proprie) per tenere su i titoli (o per cercare di fare un affare). Poi, a crisi scoppiata, hanno capito che non c’era più niente da fare e hanno dovuto svalutare. La stessa cosa è avvenuta con molte partecipazioni in portafoglio, che hanno dovuto essere ridotte senza pietà. E infine un’altra botta è arrivata dai fondi pensione, che hanno perso molto valore lungo la strada della crisi.
Comunque, diminuzioni di patrimonio netto (rispetto al totale dei debiti finanziari) si registrano anche nelle multinazionali europee e in quelle giapponesi. In sostanza, insieme al crollo degli utili va considerato anche l’inevitabile deterioramento patrimoniale.
Come si vede da queste poche cifre, la Grande Crisi è stata veramente una specie di tsunami industriale e finanziario che ha buttato per aria tutto quanto nel dorato mondo delle grandi multinazionali. Un mondo che da cinque anni (complice anche il "denaro facile" all’origine della crisi) aveva conosciuto solo successi e guadagni da favola.
E invece, già nel 2008, si comincia a voltare pagina. Il mondo dorato va in frantumi, qualche jet aziendale rimane negli hangar e qualche altro viene venduto. Molti superboss perdono il posto (sia pure con liquidazioni miliardarie). E allora, al posto delle cifre "medie" (che un po’ ingannano sempre), conviene fornire, alla spicciolata quale numero sui grandi perditori di soldi nel 2008. General Motors (per decenni la più grande azienda del mondo, ormai in fallimento) perde 22 miliardi di euro. La ConocoPhillips, 12. La Ford Motors (seconda azienda auto americana) brucia nel 2008 circa 10 miliardi di euro. E così via.
Però ci sono anche quelli che riescono, comunque, a fare soldi, e si tratta degli "energetici". La Exxon Mobil porta a casa quasi 30 miliardi di euro di guadagni, la Shell quasi 19, la Gazprom 18.
Ma questa, ormai, è storia. Il 2009, invece, è ancora in corso e è terribile per le grandi multinazionali dei tre continenti.
L’elenco stilato da R&S di Mediobanca è abbastanza lungo e desolante. Si può cominciare con il fatturato (primo trimestre 2009 rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente). E sono cifre molto tristi: vanno tutti indietro, meno le utilities.
Materiali da costruzione: 19,7 per cento.
Mezzi di trasporto : 34,7 per cento.
Metallurgia: 32 per cento. E così via.
Il totale delle 368 multinazionali si presenta con un fatturato (primo trimestre 2009) in calo del 26 per cento rispetto a un anno prima. Se n’è andato, cioè, un quarto del giro di affari.
Ma cifre ben più impressionanti sono quelle relative al risultato netto. Per una serie di settori non è nemmeno possibile calcolare la variazione (per un difetto della matematica): poiché nel 2008 hanno guadagnato e nel 2009 hanno perso, non si riesce a calcolare la percentuale di variazione. In media, per i settori "calcolabili", si hanno diminuzioni nei profitti che vanno dal 30 a 60 per cento. In totale, sommando gli utili fatti nel 2008 e poi quelli del 2009 (sempre primo trimestre) si arriva una diminuzione (aggregata) del risultato netto pari al 75 per cento. In sostanza e rispetto agli utili 2008 (che già erano in diminuzione) nel primi tre mesi del 2009 si deve registrare la scomparsa di tre quarti dei profitti dell’anno prima.
Se il trend dell’intero 2009 sarà questo (ma potrebbe anche peggiorare), nei bilanci di fine anno ritroveremo un quarto (circa) degli utili che erano stati conteggiati nel 2008. E questo riguarda l’insieme delle 368 maggiori multinazionali del mondo, quelle più smart. Come a dire la parte nobile e più sofisticata del pianeta, per la quale lavorano nei tre continenti quasi 30 milioni di persone.