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 2009  giugno 22 Lunedì calendario

Coriandoli e abbonamenti: ecco il modello Murdoch - Il team internazionale di News Corp messo al lavo­ro tra New York, Londra e Sydney da Rupert Mur­doch (e da lui personalmente coordinato) sta ideando nuo­ve formule di pagamento del­l’informazione giornalistica online da applicare non solo al Wall Street Journal (l’unica testata che già incassa molto dalla sua presenza in Rete), ma anche agli altri giornali del gruppo: dal Times di Lon­dra al New York Post , a una pubblicazione britannica su­perpopolare come il Sun

Coriandoli e abbonamenti: ecco il modello Murdoch - Il team internazionale di News Corp messo al lavo­ro tra New York, Londra e Sydney da Rupert Mur­doch (e da lui personalmente coordinato) sta ideando nuo­ve formule di pagamento del­l’informazione giornalistica online da applicare non solo al Wall Street Journal (l’unica testata che già incassa molto dalla sua presenza in Rete), ma anche agli altri giornali del gruppo: dal Times di Lon­dra al New York Post , a una pubblicazione britannica su­perpopolare come il Sun. Entro fine giugno anche il New York Times dovrebbe de­cidere quale strada seguire per integrare le entrate che soffrono per la crisi della pub­blicità e il calo della diffusio­ne del quotidiano: una parte dell’informazione online sarà a pagamento, ma sono state studiate anche altre formule, come l’iscrizione di lettori a una sorta di club del giornale, con conferenze e manifesta­zioni riservate, omaggio di prodotti con logo del quotidia­no e, per i soci più fedeli, la possibilità di assistere a qual­che riunione interna, come quelle per selezionare gli edi­toriali. Ma la vera scommessa è sui micropagamenti: pochi cente­simi per ogni articolo cliccato, un meccanismo simile al mo­do di acquistare la musica at­traverso iTunes. Gli uomini di Murdoch sembrano pensare a un’organizzazione su due li­velli: pagamenti «a coriando­li » per le informazioni consul­tate sui siti dei suoi media, più veri abbonamenti per avere accesso ad approfondimenti di informazioni specifiche, ad esempio quelle sull’energia. Ovviamente è più facile far pa­gare l’informazione economi­ca (tra l’altro il conto può esse­re scaricato come costo azien­dale o detratto dal reddito tas­sabile). Ma, per gli esperti di News Corp, qualcosa del gene­re è immaginabile anche per i quotidiani generalisti che, ad esempio, potrebbero fare pa­gare informazioni dettagliate sulle attività sportive dei colle­ge, magari corredate da sup­porti fotografici forniti dagli stessi lettori, in un rapporto in­terattivo. Il rischio rigetto Quella dei micropagamenti è la nuova strada che stanno provando organizzazioni co­me Journalism Online, una so­cietà creata da tre vecchie vol­pi dell’industria editoriale (Gordon Crovitz, Leo Hindery e Steven Brill) che sta studian­do, per conto di un consorzio di giornali, formule innovati­ve di remunerazione dell’in­formazione online. Si tratta non solo di creare un flusso di micropagamenti che non pro­vochino reazioni di rigetto da parte degli utenti, ma anche di costruire, appunto, aggrega­tori capace di spingere i letto­ri verso aree di informazione specialistica che hanno un maggior valore e possono assi­curare ritorni pubblicitari.  la strada che sta battendo anche CircLabs, start up della Silicon Valley creata un mese fa per iniziativa dell’Istituto di Giornalismo dell’Università del Missouri (che la finanzia con la fondazione Reynolds); ma anche da Attributor, altra start up promossa dal Fair Syndacation Consortium, coa­lizione di editori di quotidia­ni. Quella che è iniziata que­st’anno (vedi box a fianco) è una corsa contro il tempo: la recessione ha fatto precipita­re una crisi nell’aria da anni costringendo gli editori a mi­sure drastiche, a ripensare il futuro. Ma non mancano gli scettici: ottenere un pagamen­to per qualcosa che la gente si è abituata da anni ad avere gratis su Internet – l’informa­zione online – non sarà faci­le. La chiusura del rubinetto della gratuità rischia addirittu­ra di essere attuata dagli edito­ri con mosse illegali: una simi­le azione funziona solo se tut­ti agiscono per bloccare i flus­si nello stesso momento e que­sto, almeno negli Usa, richie­de un accordo generale che si configura come una chiara violazione delle leggi Anti­trust. Per questo, quando il 28 maggio gli editori americani si sono incontrati a Chicago per decidere come difendere i diritti di proprietà intellettua­le sull’attività giornalistica, si sono fatti assistere da un avvo­cato esperto di concorrenza. E alla fine i membri della Naa (Newspaper Association of America) si sono trovati d’ac­cordo su un punto: una delle prime cose da fare è chiedere al Congresso, più che sostegni finanziari alla stampa, una de­roga alla normativa Antitrust che consenta agli editori di voltare collettivamente pagi­na. Pure illusioni, replica Chris Anderson, l’autore della «Co­da Lunga»: che la settimana scorsa, alla conferenza orga­nizzata dalla sua rivista, Wired , ha enunciato la sua, personalissima, «legge di An­derson »: la diffusione delle tecnologie digitali spinge il prezzo dei contenuti informa­tivi verso lo zero. Opporsi a questa legge, se­condo il giornalista-tecnologi­co (anche direttore di un ma­gazine di carta) è come oppor­si alla forza di gravità: «Nessu­no può farlo. Se tu non azzeri il prezzo, ci sarà sempre qual­cun altro pronto a farlo. Se non arrivi a zero oggi, ci arrive­rai domani». Il «parassita» Google Gli editori la vedono in al­tro modo: sanno che possono fallire ma pensano di essere impegnati in una battaglia mortale contro soggetti della rete che speculano e si arric­chiscono con i contenuti dei più blasonati organi di stam­pa. la polemica scatenata dallo stesso Murdoch contro Google, che prospera anche attirando utenti con i contenu­ti di quotidiani e periodici. Ro­bert Thompson, il fedelissimo che Murdoch ha voluto prima come direttore del Times e ora alla guida del Wall Street Journal , ha definito società co­me Google «parassiti nell’inte­stino di Internet». E ad aprile il presidente della Associated Press, Dean Singleton, ha ar­ringato il suo uditorio all’as­semblea annuale della grande agenzia di stampa americana usando le stesse parole del ce­lebre monologo che viene pro­nunciato da uno stralunato Peter Finch in una scena di «Network»: «Siamo incazzati neri e tutto questo non lo ac­cetteremo più». La Ap sta cominciando a perseguire gli utilizzatori abu­sivi del suo notiziario. «Svuota­no il mare con un secchio», ironizza chi sa scovare mille modi per avere accesso a ogni notizia in Rete. Ma, intanto, Usa Today sta introducendo un’edizione digitale a paga­mento, comincia a diffondersi l’uso di lettori come il Kindle per la consultazione elettroni­ca dei giornali, mentre la Reu­ters si prepara a distribuire a pagamento i propri contenuti di iPhone e Blackberry.