Note: [1] A. Gu., Il Messaggero 21/6; [2] Alberto Negri, Il Sole-24 Ore 21/6; [3] Carlo Jean, Il Messaggero 21/6; [4] Universale, Garzanti 2008; [5] Gabriele Bertinetto, lཿUnità 25/5; [6] Francesco Sisci, La Stampa 21/6; [7] A. N., Il Sole-24 Ore 21/6; [8, 21 giugno 2009
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 22 GIUGNO 2009
In Iran è scoppiata la rivoluzione?
Hamid Dabashi, docente di Studi Iraniani alla Columbia University, dice che è più corretto parlare di ”movimento”, tipo quello per i diritti civili degli Stati Uniti negli anni Sessanta. [1]
Sarà pure un movimento, però ci sono parecchi morti, o no?
Secondo la Cnn gli scontri di sabato hanno fatto 19 morti, altri testimoni parlano di decine di vittime, qualcuno è arrivato a 150. [2] La situazione è precipitata dopo che venerdì l’ayatollah Ali Khamenei ha certificato la validità della vittoria del presidente Mahmoud Ahmadinejad nelle elezioni del 12 giugno. I sostenitori del candidato sconfitto, il riformista Hossein Moussavi, convinti che ci siano stati dei brogli, sono scesi in piazza per protestare. E le forze dell’ordine gli hanno sparato. [3]
Questo Khamenei è una specie di papa-re?
70 anni il prossimo 17 luglio, ha la carica di suprema guida spirituale (Rahbar) dell’Iran, nominato a vita dal Consiglio dei guardiani, cioè 84 teologi del clero sciita. Gli spettano la direzione della nazione, con parere vincolante su dichiarazioni di guerra e pace, e la soluzione di conflitti fra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Capo del fronte conservatore, dall’81 all’89 fu presidente della repubblica islamica. [4]
Ahmadinejad è quello che ce l’ha con gli ebrei?
Classe 1956, nel 1986 si arruolò come volontario nelle guardie rivoluzionarie per combattere la guerra contro l’Iraq. Dal 2003 sindaco di Teheran, nel 2005 fu il primo laico ad essere eletto presidente della repubblica islamica. Ultraconservatore, da allora ha dato impulso ai programmi nucleari iraniani e istigato alla distruzione di Israele [4]
E questo Moussavi da dove esce fuori?
Quindici anni più vecchio di Ahmadinejad, fu primo ministro nella Repubblica islamica fra il 1980 ed il 1988, gli anni della guerra con l’Iraq. un uomo dell’establishment, perciò prima delle elezioni si pensava fosse capace di rassicurare gli ambienti conservatori. Visto il successo ottenuto nel gestire l’economia ai tempi del conflitto con Saddam, ha le carte in regola per criticare l’aumento della disoccupazione e dell’inflazione nel quadriennio presidenziale di Ahmadinejad. In realtà, però, molti pensano che penda dalle labbra della moglie. [5]
La moglie?
Si chiama Zahra Rahnavard, durante la campagna elettorale si è imposta con l’attivismo, le doti oratorie e le capacità analitiche e comunicative proprie di una persona che per 8 anni ha guidato l’Università femminile di Teheran e ha fatto parte della squadra di consiglieri politici dell’ex-presidente Khatami. Probabilmente il 12 giugno molte iraniane hanno votato lei per interposta persona. [5]
Ma questi brogli ci sono stati o no?
Il ”China Daily”, quotidiano cinese in lingua inglese, ha scritto che in certi seggi c’è stata un’affluenza del 140%. [6] Del resto, nel 2005 un basij si vantò di avere votato 11 volte per Ahmadinejad. Pensi che ci sono 6 milioni di certificati elettorali di defunti che resuscitano regolarmente a ogni tornata elettorale. [7]
Chi sono i basij?
Come ha scritto Davide Frattini sul Corriere della Sera, «la loro divisa sono il manganello e il piacere di portarlo». [8] Con gli Ansar Hezbollah, altra milizia veloce di mano e di rasoio, sono nati dopo la rivoluzione del 1979. L’imam Khomeini ne aveva mobilitati a milioni durante il conflitto con l’Iraq e li aveva lanciati in ondate umane contro le trincee nemiche. A conflitto finito, una piccola parte è stata tramutata in forza repressiva. Sono i «bravi» del regime. [9] Si gettano in moto a tutta velocità in mezzo alla folla: uno guida, l’altro picchia con il manganello. [10]
E truccano pure le elezioni?
Sono specialisti della mobilitazione ideologica dal basso, grandi organizzatori di manifestazioni ”spontanee” in appoggio all’ala radicale del regime, raccolgono i voti per Ahmadinejad con un ordine preciso: ciascuno dei 300mila militanti deve portare nelle urne una ventina di voti. [7]
E i pasdaran che roba sono?
Fanno parte del Corpo delle Guardie della Rivoluzione, una milizia che risponde direttamente alla Guida Suprema e che controlla i basiji. [11] La base è composta dalla cosiddetta «generazione al fronte». Il sociologo Renzo Guolo spiega nel saggio Generazione del fronte che si tratta di «una generazione nata tra la metà degli anni 50 e la metà degli anni 60, che tra il 1979 e il 1989 ha vissuto esperienze significative come la rivoluzione islamica e la lunga guerra con l’Iraq, la morte dell’ayatollah Khomeini e la fine della fase rivoluzionaria». Caratterizzati da un forte impegno politico, hanno una loro concezione del mondo e negli ultimi anni sono tornati a far sentire la loro voce. Sono loro la sfida maggiore a uno sviluppo democratico. [12]
Le dico la verità: io mica l’ho capito che razza di paese è l’Iran?
L’Iran, ha scritto in un libro recente la studiosa Farian Sabahi, «è un Paese molto ricco: possiede il 9% delle riserve mondiali accertate di petrolio e il 15% del gas del pianeta» ma «la stragrande maggioranza degli iraniani non lo è: il reddito medio pro capite annuo è di 3.470 dollari… il tasso di disoccupazione era pari all’11,3% nel 2007…. Ma tenuto conto che ogni anno 750.000 giovani si affacciano sul mercato del lavoro, il dato reale è sicuramente più alto». In un Paese in cui «su una popolazione di 71,2 milioni di abitanti, circa la metà ha meno di venticinque anni», è normale che i giovani guidino la protesta. [13]
Lei pensa che ce la faranno a cambiare le cose?
Le imponenti, appassionate manifestazioni di questi giorni nel centro di Teheran hanno inevitabilmente ricordato quelle che, altrettanto imponenti e appassionate, nel 1978 e ”79 vibrarono un colpo fatale alla monarchia dei Pahlevi e decisero l’avvento della teocrazia incarnata dall’ayatollah Khomeini. All’epoca le forze armate imperiali si decomposero, o si dichiararono neutrali, e lo scià, indifeso di fronte alla rivolta popolare, se ne dovette andare. [14]
Adesso succederà la stessa cosa?
Come ha spiegato Carlo Jean sul Messaggero, nella caduta dello scià furono determinanti tre fattori: 1) l’esistenza di una leadership alternativa, quella religiosa; 2) l’indecisione dello scià, che all’inizio cercò compromessi con i dimostranti palesando la sua debolezza, anche psicologica, e aumentando la forza del dissenso; 3) la ”morbidezza” della repressione: le famiglie di ”martiri” indennizzate da Teheran sono meno di 3.000. Fu così anche perché lo scià ed i suoi cortigiani costituivano una casta privilegiata, pronta a rifugiarsi in Occidente. Oggi, invece, non c’è una classe dirigente alternativa e chi detiene il potere, non potendo rifugiarsi all’estero, lotterà fino all’ultimo per mantenerlo. [15]
E noi non possiamo fare niente?
Angelo Panebianco ha spiegato sul Corriere della Sera che il mondo occidentale fronteggia un terribile dilemma: da un lato c’è la necessità di assicurarsi la collaborazione di una potenza regionale del peso dell’Iran per venire a capo della guerra in Afghanistan (e per stabilizzare l’Iraq), dall’altro c’è il fondato timore che la definitiva sconfitta delle componenti riformiste iraniane possa irrigidire ulteriormente le posizioni internazionali del regime, con gravissimi rischi per la pace. [16]
Finirà con una guerra civile?
Esiste un’unica possibilità di fermare la ”valanga verde” riformista e di evitare una guerra civile: è che il Consiglio degli Esperti, organismo presieduto dal potente Hashemi Rafsanjani, l’ayatollah che dal 1989 al 1997 fu presidente della Repubblica e capo del governo, faccia dimettere Khamenei da ”Guida Suprema”. Nonostante sia un accanito oppositore di Ahmadinejad, è però improbabile che riesca a farlo. [15]
Alla fine vincerà la repressione?
Paul Kennedy, autore di Ascesa e declino delle grandi potenze, ha spiegato che la repressione ha quasi sempre successo fisicamente, ma non intellettualmente. L’Iran è la nazione islamica che ha più studiosi, medici e ingegneri, è un’antica civiltà capace di cambiamenti, per quanto difficili siano. Inoltre il dissenso si avvale di un medium che qualsiasi dittatura è impreparata ad affrontare: internet. [17] «Qualcosa si è rotto in modo irreparabile», ha scritto Luigi Ippolito sul Sole-24 Ore: «Anche se gli ayatollah e Ahmadinejad rimarranno in sella, il moto collettivo propagatosi via computer e cellulari riapparirà alla prossima occasione, rafforzato e non indebolito». [18]