Paolo Bricco, ཿIl Sole-24 Ore 20/6/2009;, 20 giugno 2009
DA MADRID LA MOVIDA HI TECH
Da dura a durissima. La competizione fra i sistemi industriali all’interno dell’Europa si fa ogni giorno più intensa. E, ormai, riguarda le aree ricche.
Perché il problema, ai tempi della peggiore crisi dal 1929, non è più quello di attirare capitali esteri in Romania, in Andalusia o nel nostro Sud, per decenni beneficiari di soldi a fondo perduto e di deroghe legislative pro-assistenza e anti-concorrenza. Oggi il vero tema è quello di salvaguardare e rafforzare gli apparati produttivi delle aree già floride.
E, così, i singoli paesi si trovano a dovere rispettare il doppio diktat di Bruxelles: a meno di emergenze conclamate tipo quella dell’auto nessuno dia aiuti di stato che falsino la concorrenza e nessuno, pur nella piena libertà di fissare le proprie corporate tax,
crei asimmetrie fiscali sul rispettivo suolo nazionale.
Dunque, diventa fondamentale il paso doble effettuato a livello centrale e, negli stati federali come la Germania dei Länder, dalle Regioni: giocare abilmente sulla diversa definizione degli imponibili e connettere il problema fiscale a quello dell’innovazione, delicato nodo su cui il dirigismo legislativo dell’occhiuta Bruxelles ha storicamente avuto mano più morbida, non ritenendoli aiuti di stato.
«In Spagna abbiamo adottato la leva fiscale indiretta per favorire la fine del nanismo delle piccole imprese e per rendere più robuste quelle medio-grandi. E ci siamo riusciti. Lo schema è stato semplice: la deduzione sull’imponibile fino al 30% del valore degli investimenti in innovazione». Joan Trullén è un esponente della Spagna produttivista. Dal 2004 al 2008 è stato segretario generale dell’Industria nel governo Zapatero. vero che oggi le performance degli indicatori iberici sono state affossate dalla crisi. E che i poderosi tassi di crescita di quegli anni, che tanto fecero arrabbiare l’allora premier Romano Prodi all’annuncio del sorpasso ai danni dell’Italia, sono stati gonfiati dall’immobiliare drogato dall’eccesso di villette sulla Costa Brava. Ma è altrettanto vero che le quote sane di sviluppo iberico sono state costruite sulle linee di politica industriale elaborate da questo economista che attualmente guida l’Institut d’Estudies Regionals Metropolitans di Barcellona.
Fra gli strumenti approntati da Madrid, oltre ai 60 progetti di ricerca pura e applicata su cui nel giro di pochi anni sono confluiti 1,8 miliardi di euro (la metà a fondo perduto), c’è soprattutto questo beneficio fiscale automatico, direttamente proporzionale agli investimenti in innovazione, accumulabile negli anni anche quando un esercizio finisce in rosso e attuabile perfino collettivamente, per gruppi di imprese. «Questa scelta - continua Trullén - ci ha permesso di assecondare lo sviluppo del mercato. L’automatismo del beneficio fiscale ci ha esentato dal dover scegliere un settore a scapito di un altro. E se avessimo sbagliato scelta?».
Un settore che ne ha particolarmente beneficiato è quello delle biotecnologie, assenti dal paesaggio industriale e scientifico spagnolo fino agli anni Novanta. Soltanto a Madrid, oggi, ci sono 400 imprese, sparse in sei parchi scientifici. Imprese fondate da spagnoli. Anche se la "movida biotech" ha pure protagonisti stranieri, attirati dal contesto legislativo e dall’ambiente tecnologico- imprenditoriale: Pfizer, Bristol Myers Squibb, Serono, Novartis, Abbott Laboratories, Roche, Glaxo e Merck Sharp & Dohme hanno qui stabilito centri di ricerca e linee produttive.
In queste settimane, i responsabili dei loro uffici legislativi e delle loro pianificazioni strategiche stanno approntando i documenti: entro il 29 giugno vanno presentate le domande per ottenere su specifici progetti benefici finanziari, di nuovo con un mix fiscale e di fondi diretti, fino a un massimo di mezzo milione di euro l’uno.
«In un momento segnato da una forte competitività fra sistemi - osserva Massimiliano Granieri, docente di management dell’innovazione alla Luiss - è evidente che gli equilibri istituzionali interni a ogni singolo Paese pesano sulle politiche industriali e per l’innovazione ». E così la centralista Francia, sperimentando una filiazione diretta dal capitalismo di stato ultrainterventista e attuando una linea che risale alla teoria economica dei poli di François Perroux, sceglie specializzazioni precise, crea poli di competitività e, da Parigi, decide dove vanno le risorse che sono state pari, fra il 2006 e il 2008, a oltre 1,6 miliardi di euro. Ict, aerospazio, meccatronica. Nuove tecnologie fatte crescere artificialmente. E che attecchiscono bene: a Grenoble, per esempio, 100 imprese attive nella microelettronica e nelle nanotecnologie hanno creato 12.500 posti di lavoro.
«La leva fiscale - osserva Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo economisti di impresa - viene usata in maniera complementare e meno decisa che in Spagna: nelle aree di ricerca francesi, l’esenzione fiscale vale al massimo i 200mila euro della regola de minimis
prevista dall’Unione europea, cumulabili fra imposte centrali e locali». Dunque, la politica transalpina è fondata su un presupposto preciso: Parigi sceglie e stanzia i soldi. Un tratto di spiccata autonomia, rispetto a Bruxelles, che esisterebbe anche al di fuori di un contesto comunitario.
«Invece - continua Vitali, industrialista del Ceris Cnr - la Germania ha una strategia di sviluppo industriale completamente diversa ». Tanto è centralista la Francia, tanto è intensa la concorrenza fra i Länder. In questo caso, prevale il metodo concertativo. Nella composizione dell’azionariato dell’Agenzia per lo sviluppo di Stoccarda, uno dei cuori dell’automotive mondiale, ci sono tutti: associazioni imprenditoriali, singoli gruppi industriali, banche, il Land Baden-Württemberg, università e sindacati. I servizi, erogati nell’area metropolitana da 14 centri di competenza specializzati in meccatronica, carburanti alternativi e tessuti tecnici per interni, sono a prezzo politico. E, così, si creano le condizioni perché tre quarti dei brevetti siano realizzati da piccole imprese tedesche. «Rispetto alla Spagna e alla Germania- conclude Vitali - nel sostegno della sua industria la Germania utilizza meno l’arma fiscale e più la creazione delle infrastrutture tecnologiche».