Fabio Pozzo, la Stampa, 20/6/2009, 20 giugno 2009
Balene, l’Islanda torna a caccia - Le balene si conoscono tra loro per nome e comunicano con vari dialetti - ha scoperto una ricercatrice tedesca - per pianificare la strategia di caccia
Balene, l’Islanda torna a caccia - Le balene si conoscono tra loro per nome e comunicano con vari dialetti - ha scoperto una ricercatrice tedesca - per pianificare la strategia di caccia. L’islandese Kristjan Loftsson, però, è sordo ai loro canti. Lui non le ascolta, le uccide. Ieri ha fatto fuori le prime due balenottere comuni (incluse dall’Unione internazionale per la conservazione della natura tra le specie a rischio di estinzione) delle 150 che è intenzionato ad arpionare e a squartare, da qui a fine settembre, forte di un permesso del suo Paese, che glielo consente, in barba alla moratoria internazionale firmata nel 1986 che ha messo al bando questa pesca sanguinosa. Che non ha più nulla, se mai l’ha avuta, di romantico: oggi questi giganti del mare si uccidono a colpi di cannoncino, armato di un arpione a granata dal peso di 45 chili che fila alla velocità di 113 metri al secondo. «Non appena si conficca nella carne, l’arma a punta smussata rilascia quattro ardiglioni d’acciaio, fa scattare un innesco e la pentrite della granata esplode. Il cavo che collega l’arpione alla nave si tende e gli ardiglioni si aprono nel corpo della balena, uncinandola» scrive Andrew Darby in «Guerra alle balene», libro-denuncia di prossima uscita anche in Italia (Longanesi). Il baleniere Kristjan Loftsson, però, è insensibile alla drammatica descrizione. Lui guarda ai soldi, ai sussidi del governo stanziati per questa attività. «La caccia era stata aperta dal precedente governo islandese, poco prima che cadesse. Il nuovo esecutivo, che si dichiara contrario, non è riuscito a bloccarla. Ben lontano dal fare gli interessi del paese, ha permesso a una sola compagnia, la Hvalur efh di Loftsson, di decidere su una materia che invece è di competenza pubblica», denuncia Sara Holden, di Greenpeace International. Facendo inorridire il mondo, e traballare l’industria, questa sì proficua, del «whale watching», dell’eco-turismo. Non è l’unico, Loftsson, a puntare il mirino del cannoncino. Al mondo sono tre gli Stati che continuano a dare la caccia a questi mammiferi marini, violando la moratoria, come appunto l’Islanda e la Norvergia, oppure sulll’onda di permessi per fini scientifici (finti, secondo gli ambientalisti), come il Giappone. «Bruciando in gasolio, stipendi, arpioni i soldi dei contribuenti», denunciano Wwf e Whale and Dolphin Conservation Society, sulla base di un’analisi economica indipendente che sarà presentata lunedì all’International Whaling Commission, che si riunirà a Madeira. Dodici milioni di dollari, i sussidi governativi di Tokyo nel 2008/2009. «Ciò, anche se l’uccisione delle balene verosimilmente non sarà mai un’attività proficua». Senza l’aiuto pubblico. Uno spreco, accusa Massimiliano Rocco, del Wwf Italia, «in questo periodo di crisi economica». Loftsson e gli altri come lui in Norvegia, sostengono la validità del business. «Balle. Non c’è mercato nei loro Paesi, dove ormai pochissimi si ostinano a mangiare carne di balene. Ma sono mosche bianche, come da noi quelli che pranzano con il pesce luna o il filetto di delfino. E non è vero nemmeno quello che i balenieri cercano di provare, vale a dire che esportano il frutto della loro attività in Giappone» spiega Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia. Già, anche a Tokyo e dintorni ormai la carne di balena sembra non piacere più. «Nonostante la campagna promozionale avviata nelle scuole, i giapponesi non ne vogliono sapere. Hanno anche provato a trasformarla in cibo per cani, ma oggi si trovano con chili di scorte inutilizzati. E non hanno certo bisogno d’importarla dagli islandesi. Oltretutto, gli esemplari uccisi nei Mari del Nord sono contaminati da metalli pesanti e il Giappone non li gradisce» dice ancora Gainnì. Il problema, dunque, oltre che morale, scientifico, ecologico, è anche e soprattutto politico. «La Commissione internazionale per i balenieri si regge su una maggioranza che non vuole riaprire la caccia commerciale. Ma è in atto una campagna acquisti da parte di Islanda, Norvegia, Giappone per accaparrarsi i voti di altri Stati aderenti, ad esempio la Mongolia, e far cadere la moratoria» sostiene il dirigente di Greenpeace. «Finora non c’è stata una vera presa di posizione da parte degli altri Stati contrari, come ad esempio l’Italia. Si limitano a firmare appelli pro balene, ma poi non esercitano pressioni decise. Prendiamo l’Islanda: travolta dalla crisi economica, non ha più una banca di proprietà locale. Basterebbe poco per farla capitolare». Giusto Barack Obama, prima della sua elezione alla presidenza, aveva assicurato che gli Stati Uniti avrebbero garantito il rafforzamento della moratoria contro la caccia commerciale di questi cetacei. Ma la Casa Bianca è lontana dal molo di Hvalförður (il fiordo delle balene). Oggi Kristjan Loftsson salperà di nuovo. Ci sono altre prede da uccidere.