Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  giugno 20 Sabato calendario

«In Italia abbiamo il peggior mercato del lavoro d´Europa», scriveva Marco Biagi, nel suo ultimo editoriale prima di essere ucciso

«In Italia abbiamo il peggior mercato del lavoro d´Europa», scriveva Marco Biagi, nel suo ultimo editoriale prima di essere ucciso. E la crisi è riuscita a peggiorarlo ancora. Il mercato del lavoro si è rattrappito e i suoi dualismi, antichi e recenti, si sono radicalizzati: lavoratori anziani e lavoratori giovani; uomini e donne; precari e garantiti; nord e sud; lavoro autonomo e lavoro dipendente. Nei tre mesi iniziali del 2009 l´Istat ha cominciato a ridisegnare la nuova mappa del lavoro. Sono, di fatto, i primi dati concreti (non previsionali) che arrivano dal fronte del lavoro aggredito dalla crisi globale. Perché bisogna sempre tener presente che gli effetti della recessione sull´occupazione sono un po´ ritardati rispetto al crollo del Pil. Ma anche la ripresa (quando ci sarà) si sentirà più in là nel mercato del lavoro. Si sono già persi oltre 200 mila posti. Dopo 14 anni - era il 1995 - l´occupazione è tornata a scendere. Il terziario, dopo un decennio, non assorbe più il lavoro che perde l´industria. Di fronte alla recessione la ricetta della flessibilità non funziona. Lo certifica l´Istat. I primi posti a saltare sono stati quelli precari: - 154 mila contratti a tempo determinato, - 107 mila contratti di collaborazione. Per tre quarti sono lavoratori fino a 34 anni, cioè giovani. E qui c´è anche un pezzo di lavoro intellettuale che declina, mentre cresce la domanda per le basse qualifiche. Proprio quelle che conquistano i lavoratori immigrati, grazie ai quali non c´è stato il tracollo del sistema: gli stranieri occupati sono aumentati di 222 mila unità contro i 426 mila (quasi mezzo milione) italiani espulsi dal mercato. Nella nuova mappa del lavoro italiano, dunque, continuano a perdere i giovani tra i 15 e i 34 anni. La recessione ha aggravato questa anomalia tutta nostrana: il relativo tasso di occupazione si è ulteriormente abbassato in un anno (dal 50,4 per cento al 47,9 per cento). Compensano i genitori e la famiglia si conferma uno dei principali ammortizzatori sociali. D´altra parte un´indagine della Commissione Ue ha già dimostrato che per la metà dei giovani italiani la fonte principale di reddito sono, appunto, i genitori, contro una media inferiore al 30 per centro tra gli altri paesi dell´Unione a 15. E, a conferma del dualismo giovani-anziani, i dati dell´Istat dicono che il mercato del lavoro è invecchiato: gli ultracinquantenni restano di più al lavoro, per effetto delle nuove norme pensionistiche, così sono 150 mila gli occupati in più rispetto allo scorso anno. La componente giovani, allora, concorre a spingere in basso il tasso di occupazione. Perdono il lavoro sia gli uomini (162 mila), sia le donne (42 mila). Ma sono gli uomini a pagare di più questa crisi anche perché sono in percentuale i più occupati. L´Istat parla di una «significativa flessione» (dal 69,7 per cento al 68,5 in un anno) del tasso di occupazione maschile. Gli uomini cominciano a ingrossare anche l´esercito di coloro che non cercano più lavoro, gli scoraggiati, gli "inattivi", stando al gergo dell´Istat. Ma se nelle regioni meridionali era un fenomeno ampiamente conosciuto e soprattutto femminile, al nord comincia a dilatarsi. «Dopo tre anni di continue flessioni - spiegano i ricercatori dell´Istat - nel primo trimestre del 2009 il numero degli inattivi risulta in crescita nel nord (+1,2 per cento, pari a 66 mila unità)». I disoccupati sfiorano il tetto dei due milioni (sono un milione e 982 mila) e al sud il tasso di disoccupazione arriva al 13,2 per cento. Il record negativo (37,5 per cento) appartiene ai giovani tra i 15 e i 24 anni del Mezzogiorno. Si scopre così che la Grande Recessione sta colpendo più duro nell´area del mercato del lavoro considerato più moderno (quella della flessibilità destinata soprattutto ai giovani), che il terziario non trasforma più in lavoro la progressiva debacle dell´industria, che gli immigrati stanno reggendo e il sud no. E non ci prova nemmeno.