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 2009  giugno 20 Sabato calendario

In Italia, è stata Chrysler a tenere banco. Ma il fatto epocale è il fallimento di General Motors (GM): la più grande impresa al mondo fino agli anni ”60, l´icona del capitalismo americano, prototipo del produttore di beni massa, culla di teoria manageriali e organizzazione del lavoro

In Italia, è stata Chrysler a tenere banco. Ma il fatto epocale è il fallimento di General Motors (GM): la più grande impresa al mondo fino agli anni ”60, l´icona del capitalismo americano, prototipo del produttore di beni massa, culla di teoria manageriali e organizzazione del lavoro. Il suo fallimento coincide con quello dell´intera industria automobilistica: falliti GM, Chrysler e i maggiori produttori di componenti, rimane Ford, tenuta a galla da finanziamenti e garanzie statali. Ma soprattutto è la prima volta che il governo americano (come con Chrysler) interviene direttamente per promuovere e organizzare la procedura fallimentare, anche violando le priorità dei creditori, si sobbarca l´onere della ristrutturazione, e guida la riorganizzazione di un´azienda della quale è diventato il principale azionista. Il fatto in sé non sarebbe sorprendente, non fosse che il settore automobilistico americano è marginale, appena lo 0,8% del Pil; che la crisi negli Stati Uniti è prevalentemente nei settori finanziario e immobiliare; e che l´auto Usa era già da anni in evidente declino. La caduta della quota di mercato dal 50% al 20% era un chiaro segno che GM costruiva auto che la gente non voleva. Perché allora il coinvolgimento diretto dell´amministrazione Obama? Non per salvare fabbriche, stipendi e posti di lavoro. Il governo ha utilizzato la legge fallimentare per ristrutturare GM in modo drastico: 20.000 posti eliminati (oltre ai 90.000 degli ultimi anni); tagli di stipendi e benefici; la rete di vendita falcidiata; mezza dozzina di stabilimenti chiusi; e massicce cessioni di attività. Lo stesso copione usato per Chrysler. L´obiettivo non è neppure quello di indurre gli americani a comperare vetture che consumano poco: per questo bisognava aumentare le tasse sulla benzina, che costa un terzo della media europea. E per finanziare lo sviluppo di auto a basse emissioni, il Dipartimento dell´Energia ha già stanziato appositamente 25 miliardi. Inoltre, la via scelta di imporre un tetto ai consumi per legge è controproducente - riducendo il costo di funzionamento delle auto, se ne incoraggia l´utilizzo, e quindi i chilometri percorsi per auto - e pone il governo nella difficile condizione di dover regolamentare se stesso, essendo ora il principale azionista del settore auto. L´intervento statale non serve neanche a facilitare il raggiungimento di una dimensione ottimale in un´industria ancora troppo frammentata; che è il problema in Europa. Anzi, nel caso GM, lo Stato smantella uno dei tre veri produttori globali (con Toyota e Volkswagen), riducendola a una azienda nazionale, molto più piccola. L´unico risultato concreto ottenuto dall´intervento pubblico è quindi di attenuare l´impatto sull´occupazione di una ristrutturazione inevitabile, e di scegliere i manager che la porteranno a termine. Senza garanzie che questi riescano dove tanti hanno già fallito. Innescando però una reazione a catena con effetti potenzialmente distorsivi: GM sta usando i soldi pubblici per finanziare la cessione della società di componenti (Delphi) a un private equity; il settore dei prestiti auto di GM è stato trasformato in banca per ottenere le garanzie di Stato e i fondi della Fed, ma non quello di Caterpillar per i suoi bulldozer o di Harley-Davidson per le sue moto; senza contare l´effetto domino sugli altri Stati che sta scatenando il protezionismo finanziario (i casi Opel, Saab, Peugeot, Renault, ma anche gli aiuti pubblici a Ford da Usa, Brasile, Australia, e dalla Bce). Il costo per i cittadini americani è strabiliante: 100 miliardi solo per Chrysler e GM. Non c´è garanzia che siano spesi bene; o che siano gli ultimi. Forse sarebbero stato meglio usarli per migliorare gli ammortizzatori sociali negli Usa, lasciando la ristrutturazione al dinamismo dell´economia americana che, finanza e mattone a parte, da almeno 30 anni ha dato buona prova di sé.