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 2009  giugno 20 Sabato calendario

Il registro dei materassi per dormire a terra - «L’ubicazione del quinto detenuto deve essere adotta­ta a rotazione, in via provvisoria e con materasso a terra»

Il registro dei materassi per dormire a terra - «L’ubicazione del quinto detenuto deve essere adotta­ta a rotazione, in via provvisoria e con materasso a terra». L’ordine di servizio che istituisce il registro è categorico. I «nuovi giunti» dormo­no a turno sul pavimento, «in stan­ze da 4 ma per necessità utilizzate a 5 e più». Alla fine di maggio è arrivato il caldo, anche a Trieste. Con la tempera­tura salgono anche gli odori, lo stress. Soprat­tutto tra persone che vi­vono rinchiuse in spazi sempre più angusti. Una lite è avvenuta a causa di scarpe da tennis conside­rate troppo puzzolenti, un’altra perché a notte fonda, nello scendere dalla branda per andare in bagno, un detenuto ha poggiato il piede sul giaciglio di un compa­gno di detenzione. E poi c’erano i pakistani che si sentivano discriminati, sostenevano che troppe volte tocca­va a loro ospitare gli ultimi arrivati, in celle a due posti già stipate da sei persone, come minimo. Il registro dei materassi a terra, la cui esistenza è stata segnalata da Radiocarcere, è nato per questo. Ga­rantire almeno equità nella sparti­zione dei disagi, allontanare l’accu­sa di favorire qualche gruppo etni­co, dettaglio importante in un car­cere che conta detenuti di sessanta diverse nazionalità. La notte al livel­lo del suolo tocca sempre agli ulti­mi arrivati, i «nuovi giunti». Il nu­mero delle notti passate per terra viene annotato insieme alla celle dove vengono disposti i materassi. Il tentativo di garantire un decente turn over dipende dalle uscite dal carcere. Solo quando si libera una brandina è possibile procedere al­l’indennizzo, chiamiamolo così. «Capisco che possa sembrare una idea folle, ma funziona. Le liti e le proteste si sono ridotte. Trovo ra­gionevole che lo Stato si preoccupi almeno di gestire la mancanza asso­luta di spazio fisico». Enrico Sbri­glia sa bene che la sua trovata rap­presenta l’ammissione di una scon­fitta. E non solo per il Coroneo, il carcere che dirige da 17 anni. A Tri­este lo chiamano tutti così, con il nome della via che lo ospita nel pie­no centro della città, a ridosso del Tribunale. Molto spesso i turisti ci si fermano davanti, incuriositi dal dialogo fatto di gesti tra i parenti e i detenuti affacciati alle finestre. La struttura è vecchia ma ancora digni­tosa, come sottolineato dagli ulti­mi parlamentari che lo hanno visi­tato. Solo che dentro ci dovrebbero stare al massimo 158 persone, men­tre alla conta di ieri i detenuti che hanno risposto presente erano 261. Non c’è spazio per tutti, neppure per impilare altre reti metalliche. La capienza di ogni stanza viene moltiplicata per tre, ma ancora non basta. Quindi, si dorme per terra. Potrebbe essere un buon titolo per un racconto surreale, il registro dei materassi a terra. Invece è la presa d’atto di una realtà quotidia­na sempre più deteriorata. Le carce­ri italiane scoppiano. La notizia non è certamente nuova, ma il livel­lo di guardia sta per essere raggiun­to. Appena due giorni fa, l’associa­zione Ristretti Orizzonti stimava che il totale dei detenuti avesse rag­giunto quota 63.460, quando la ca­pienza «tollerabile» dei nostri isti­tuti di pena, oltre la quale non c’è più spazio nemmeno per uno spil­lo, è di 63.623 persone. «C’è da ver­gognarsi. A queste persone noi prendiamo la libertà senza dare in­dietro nulla. Siamo stanchi di esse­re i custodi dell’illegalità, di lavora­re fuorilegge senza poter garantire un contesto di vita dignitoso a chi deve scontare la pena». Il Coroneo non è certo una ecce­zione. Dati alla mano, rappresenta il carcere italiano medio. Sovraffol­lato, multietnico. E ovviamente in attesa di giudizio, condizione che riguarda il 60% dei suoi detenuti. Sbriglia prende in mano una circo­lare emanata dalla Direzione del­l’amministrazione penitenziaria nel 2007 e legge le regole per la pri­ma accoglienza dei detenuti appe­na giunti in carcere. Oltre alle visi­te specialistiche, per evitare traumi si raccomanda l’assegnazione «a stanza diversa, più confortevole ri­spetto all’ordinario». Terminata la lettura, ecco il commento. «Tutte balle. La verità è che non c’è nien­te. Chi ci governa deve capire che questa situazione non è una pseu­domergenza, ma un fatto vero». Alla fine si capisce che dietro il registro dei materassi a terra non c’è solo la necessità di mettere ordi­ne al caos. C’è anche una richiesta d’aiuto, fatta da uno dei pochi ap­partenenti a questo microcosmo in­salubre autorizzato a comunicare con l’esterno, in quanto segretario del sindacato che riunisce direttori e funzionari degli istituti di pena. «Non voglio fare il profeta di sven­tura, ma la situazione è tremenda. Abbiamo accumulato anni di ritar­do e parole vuote, adesso siamo al punto di non ritorno». Sbriglia non è un novello Brubaker, il direttore di penitenziario interpretato da Ro­bert Redford che voleva cambiare il mondo. piuttosto un moderato, ex assessore al Bilancio del Comu­ne di Trieste, iscritto ad Alleanza Nazionale. Prima del Coroneo era a Pordenone. «Lo chiamano il Castel­lo. Un carcere che ti fa pensare a Sil­vio Pellico. Trent’anni fa ne era sta­to promesso uno nuovo, più gran­de e moderno. Stiamo ancora aspet­tando la posa della prima pietra. Poi uno si stupisce dei nostri mate­rassi ».