Nusch Abeh Amiri, La stampa 19/06/2009, 19 giugno 2009
UN COLPO DI STATO KHAMENEI HA CAMBIATO I RISULTATI IN DUE ORE
Sabato notte lei ha annunciato alla radio «The Voice of America» la vittoria di Mousavi, su incarico dello stesso candidato. Ma che cosa è successo dopo?
«Proprio mentre il Ministero dell’Interno informava Mousavi che aveva vinto, il suo servizio di informazioni a Gheytarieh è stato assaltato. A Mousavi è stato detto che anche Khamenei era stato informato della sua vittoria. Khamenei, saputo tutto, ha detto di non avere nessun dubbio, che si trattava solo di decidere come dare l’annuncio. per questo che i colleghi di Mousavi all’inizio hanno festeggiato la vittoria senza preoccuparsi per l’assalto, considerandolo un atto di vendetta, e non l’inizio di un colpo di Stato. Ma dopo che tutte le comunicazioni del quartier generale di Mousavi col mondo esterno, e soprattutto con l’estero, sono state interrotte per due ore, mi è stato detto di informare il mondo che il vincitore di queste elezioni in base al rapporto ufficiale del Ministero dell’Interno era Mousavi».
Quel rapporto è stato poi sconfessato. Che cosa era accaduto?
«All’inizio avevamo pensato che fosse in corso un golpe contro Khamenei, perché c’era confusione riguardo alla conferma iniziale poi ritrattata. Qualcuno dice che in un paio d’ore Khamenei abbia cambiato idea. Altri credono che tutto questo fosse stato progettato in anticipo. Mi è stato chiesto di annunciare al mondo che Mousavi aveva vinto con una maggioranza del 70%, che aveva chiesto alla gente di celebrare la vittoria domenica, e che il suo servizio d’informazioni era stato assaltato e dunque per qualche tempo non sarebbe stato in grado di comunicare».
Che cosa pensa di tutto ciò?
« più di una frode elettorale, per me è un colpo di Stato. Sembra di rivivere il giorno dopo il golpe contro il premier Mohammed Mossadeq, il 19 agosto 1953. La gente è sotto choc. Il potere sta tornando al dispotismo assoluto».
Come giudica la situazione?
«Ora la gente chiede di sapere che cosa deve e può fare. Nel 1979 avevamo portato alla vittoria una rivoluzione, e siamo rimasti delusi. Abbiamo provato le riforme e siamo rimasti delusi. Abbiamo rimpianto tutto, abbiamo voltato le spalle. Ora, solo perché abbiamo provato a cercare un accordo attraverso le urne, rischiamo di rimanere delusi di nuovo. Resta una sola cosa: la rivoluzione! Se Mousavi, come ha promesso, non si arrenderà, bisogna organizzare un’azione concertata. Azioni individuali, alla cieca o populiste, possono solo aiutare la dittatura».
Come andrà a finire?
«Il regime cerca di spaventare la gente. Il messaggio di Khamenei al popolo iraniano è una minaccia indiretta all’opposizione. Se la maggioranza ha eletto Ahmadinejad, perché quelli al potere sono così preoccupati che la gente scenda in piazza a celebrare la vittoria? Hanno paura e lanciano minacce perché sanno che la verità è un’altra. Così arriviamo a un punto di non ritorno sia per la dittatura che per i cittadini. Dobbiamo cercare soluzioni in una protesta civile».
Quale posizione ha preso Khamenei rispetto alle elezioni che lui stesso ha influenzato?
«Lui si era presentato come il leader di tutta la nazione, e oggi si è declassato a guidare una minoranza, a essere la persona dietro ad Ahmadinejad. Chiunque capisce che Ahmadinejad è solo il portavoce di questo regime, e il prediletto di Khamenei. Il mondo potrebbe anche non accettare che queste persone si spaccino per rappresentanti legittimi del popolo iraniano».
Che cosa vede nel futuro?
«La gente ha capito che parlando con voce unica si costringe il regime a ricorrere al falso. la vittoria del nostro popolo, ottenuta con il minimo sforzo. Ora dobbiamo mantenere questa alleanza. Il regime può fare pressione sui leader di un movimento, ma non può arrestare 70 milioni di persone. La gente non accetta più la scusa della minaccia americana o di un intervento militare straniero. Grazie al nuovo presidente americano, non possono più usare queste minacce per spaventarci. Queste elezioni non dovevano legittimare il regime: dovevano cambiare la situazione e garantirci un minimo di diritti».