Beppe Minello, La stampa 19/06/2009, 19 giugno 2009
ISLAMICI SPACCATI SUI FINANZIAMENTI PER LA MOSCHEA
Sul futuro centro di preghiera di via Urbino qualcuno mente. Menzogne che si inseriscono nella guerra combattuta senza esclusione di colpi per il «controllo» della comunità islamica non solo a Torino, ma in Italia. Controllo che, alla fine, si traduce in più o meno potere di rappresentanza e più o meno capacità di attrarre finanziamenti e aiuti. La simil-moschea di via Urbino è una delle tante battaglie di questa guerra che si è via via inasprita da quando la Consulta costituita presso il ministero dell’Interno con il dichiarato scopo di diventare punto di riferimento per le tante anime dell’Islam in Italia è finita nel dimenticatoio: mai il ministro Maroni ha ritenuto di convocarla.
Ma torniamo alla simil-moschea di via Urbino. Una settimana fa il ministro degli Esteri, Frattini, di ritorno da una visita in Marocco, ha approvato l’iniziativa finanziata dal governo di Rabat sostenendo, in buona sostanza, che è così che quel paese contrasta all’estero il fondamentalismo islamico. Ieri, però, la parlamentare Pdl Souad Sbai, la stessa che aveva criticato il finanziamento e sostenuta dall’onorevole leghista Borghezio, è tornata all’attacco e in un intervento alla Camera ha denunciato che le autorità marocchine non sarebbero coinvolte nel finanziamento «finito sul conto personale di un sedicente imam». «Sulla vicenda - ha aggiunto la parlamentare di origine marocchina - la Direzione generale per gli studi e documentazione (l’intelligence marocchina all’estero) avrebbe avviato un’indagine». Notizie apprese dal giornale marocchino «Assabah, quotidiano del calibro del Corriere della Sera» anche se il giornalista che ha firmato l’articolo vive a Torino e collabora con giornali italiani. «Nessuno in Marocco - dice Sbai - ha smentito quelle notizie». Sulla sua denuncia si sono fiondati il capogruppo leghista in Sala Rossa Mario Carossa e i Pdl Andrea Tronzano e Franco Poerio. Se ciò che dice il giornale marocchino è vero, è il loro ragionamento, allora «il sindaco Chiamparino ha preso in giro i torinesi» raccontando, consapevole o meno, una bugia sull’origine dei fondi. A Palazzo Civico, e in particolare l’assessore Ilda Curti che ha seguito tutta la vicenda cascano dalle nuvole. Il finanziamento marocchino, arrivato con un bonifico, porta l’intestazione del minitero degli Affari religiosi del governo del Marocco ed è destinato all’Umi (Unione dei Musulmani d’Italia) fondata nel 2007 da Abdelaziz Khounati in contrapposizione con l’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche vicina ai Fratelli musulmani che guarda con preoccupazione a Torino e al Nord dove l’Umi sta prendendo piede. Umi che non ha mai avuto come vicepresidente l’imam Bouchta, non fosse altro perché quando è nata, Bouchta non era più in Italia, espulso anni prima dal ministero dell’Interno. Ad acquistare materialmente l’immobile è l’associazione «La Palma Onlus» nata nel 2000 è l’anima dell’Umi a cui aderisce. «Una Onlus - spiega Curti - ha bilanci pubblici. In ogni caso quel bonifico lo conoscono anche al Viminale visto che, a suo tempo, perché controllassero la serietà dell’operazione abbiamo fornito un bel po’ di documentazione, copia del bonifico compreso, alla digos torinese». Su quei bilanci, dunque, deve comparire la cifra di 1,1 milioni di euro (e non 2 milioni come ipotizzato fino ad oggi) stanziati dal Marocco e «utilizzati - spiega Khounati - per acquistare, a marzo, l’immobile di via Urbino e per i primi lavori di ristrutturazione. Il resto delle spese sarà coperto con le donazioni dei fedeli». Sull’attività di Khounati s’è interessato anche il presidente della moschea di Roma, l’ambasciatore dell’Arabia Saudita, che ha mandato un inviato a Torino per indagare sulla serietà dell’Umi.