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 2009  giugno 19 Venerdì calendario

CHE MELODRAMMA LE FAMIGLIE ITALIANE"


Le famiglie, non è che proprio lui le detesti come André Gide. Certo lo ossessionano. Tanto da farlo ritornare in continuazione sul luogo del delitto. «Perché nelle famiglie c’è molto amore - ironizza - per questo le guerre civili sono le più crudeli». Francis Ford Coppola è il regista del Padrino, una saga che nessuno si stanca mai di rivedere. E oggi, a 70 anni, nel pieno di quella che lui stesso chiama «la mia seconda carriera», firma Tetro da poco presentato a Cannes e girato in Argentina, tra Buenos Aires e la Patagonia, storia in bianco e nero di due fratelli (Vincent Gallo e l’esordiente Alden Ehrenreich, già ribattezzato il nuovo DiCaprio) che non riescono a parlarsi, mentre cercano entrambi di uscire dall’ombra del padre, un abietto direttore d’orchestra interpretato da Klaus Maria Brandauer.
Quali sono i paralleli tra i Tetrocini, i protagonisti del nuovo film, e la più celebre famiglia italiana della sua filmografia, i Corleone?
«A parte i quattro accoltellamenti, i due strangolamenti e i venti assassinii per colpo di pistola e poi i mitra e le esplosioni? Quando ho fatto Il padrino non sapevo niente dei gangster. Sapevo però molte cose delle famiglie italo-americane, dei nostri matrimoni, delle nostre musiche, delle processioni. Del melodramma. E l’ho usato. In Tetro lo stesso. Ma sì, anche nella nostra famiglia ogni tanto è accaduto che improvvisamente una zia non fosse più invitata dai cugini o che una domenica, improvvisamente, nessuno si parlasse più».
Quindi i suoi sono film autobiografici?
«Niente in queste storie è realmente accaduto, però quello che racconto è assolutamente vero. Sono vere le emozioni, il sangue, i segreti, i rancori».
Non ha vissuto nemmeno la rivalità coi fratelli?
«Ne ho uno più grande che ho sempre venerato e non ho avuto fratelli minori. La cosa che ho avuto più vicina a un fratello minore è George Lucas. George ha cinque anni meno di me, quando l’ho conosciuto aveva 19 anni e all’inizio l’ho aiutato molto, l’ho presentato, l’ho incoraggiato. Eravamo molto legati, George e io e anche Martin Scorsese. E nel vederlo andare incontro a così tanto successo e nel sapere che è il più ricco del mondo dello spettacolo provo una sorta di rivalità fraterna, fraterna perché sono orgoglioso di ciò che ha fatto e perché so che se si mettesse davvero a fare un film personale stupirebbe tutti».
Coppola, che cosa la spinge a fare cinema? Perché questa sua seconda carriera?
«Non ho bisogno di costruire una carriera, non ho bisogno di soldi e non ho mai davvero capito questa storia che devi fare sempre di più, che un regista deve avere la villa a Beverly Hills e quattro auto e cinque mogli. E’ un mondo che non mi appartiene e una delle cose belle del cinema è la sua varietà. Se faccio film è per imparare cose nuove e divertirmi».
Come mai per un decennio è stato in esilio?
«Non è che avevo detto addio al cinema. Dopo avere passato anni a fare film non sentiti per pagare i debiti, ho dedicato quattro anni a un progetto di Pinocchio, altri quattro a Megalopolis e con tutti e due non se ne è fatto niente. Non mi interessa più andare a caccia di soldi e comunque i film che l’establishment è disposto a finanziare non sono quelli che interessano a me. Ho ripreso quando ho deciso di mettere i soldi miei e di fare ciò che mi piace. Quando ami cio che fai, ti dà forza ed entusiasmo».
E la scelta dell’Argentina?
«Gli argentini sono speciali. Non dimentichiamo che i più gradi scrittori degli ultimi 50 anni vengono dal Sud America. Ne hanno vissute di tutti i colori, ma sanno come godersi la vita. Si vede che c’è molta influenza italiana».