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 2009  giugno 16 Martedì calendario

LE TRAME DELL’ULTIMA REGINA PER SALVARE LA MONARCHIA


Nel primo pomeriggio del 23 gennaio 1944 il duca Tommaso Gallarati Scotti incontrò riservatamente in un albergo di Oberhofen, sulle rive del lago di Thun, la principessa Maria José di Savoia, che vi si trovava dopo che Vittorio Emanuele III aveva deciso di allontanarla da Roma per i suoi intrighi politici con una battuta: «Io devo sbrigare gli impicci che tu hai combinato». Anche Gallarati Scotti, personalità di spicco del mondo culturale e politico lombardo, amico e biografo di Antonio Fogazzaro, era stato costretto a riparare in Svizzera. Era stata infatti divulgata la notizia che il 26 luglio 1943, nella sua abitazione privata, si erano riunite le personalità più in vista dell’antifascismo milanese ed era stato costituito un comitato d’azione dei partiti democratici del quale lui stesso aveva assunto la presidenza.
Colloquio riservato

Il contenuto del colloquio (e degli altri che ad esso seguirono) fra il nobile intellettuale lombardo e la Principessa di Piemonte è riferito in alcune note di diario che Gallarati Scotti scrisse a caldo, forse come promemoria non certo destinato alla pubblicazione. Ora quelle note, che giungono fino allo spirare del 1950 e che comprendono anche il resoconto dell’attività svolta da Gallarati Scotti come ambasciatore a Madrid e a Londra sono state edite con il titolo Memorie riservate di un ambasciatore 1943-1951 (Franco Angeli, pp. 160, Euro 19) a cura di Nino Del Bianco. Si tratta di un documento interessante che offre molte notizie sul mondo degli esuli italiani in Svizzera oltre che sui primi passi della neonata repubblica per affrontare, attraverso lo strumento della diplomazia, il problema del suo reinserimento nella comunità internazionale e la questione, allora irrisolta, della restituzione di Trieste all’Italia.

Le pagine, però, relative agli incontri con Maria José sono particolarmente importanti perché rivelano il tentativo posto in atto da Gallarati Scotti per salvare la monarchia proponendo la reggenza della Principessa di Piemonte fino alla maggiore età del piccolo Vittorio Emanuele. una storia poco nota che merita di essere conosciuta indipendentemente dal suo esito negativo. Essa, del resto, illustra in maniera emblematica i sentimenti nei confronti dell’istituzione monarchica di quella intellettualità antifascista, liberale e moderata della quale il duca Tommaso Gallarati Scotti era un esponente significativo.

I due si conoscevano da tempo, ma non si erano più incontrati dalla fine del 1942. Quando Gallarati Scotti, nel pomeriggio di quella domenica del gennaio 1944, rivide la principessa la trovò bene. Eccone il ritratto: «Può sembrar brutta e bella insieme, strani occhi fissi e acutissimi che tutto vedono e osservano. Sincera e complessa, con forti passioni, ma contenute, domate. Temperamento politico, ambizioni politiche. Curiosità umana. Vede molto uomini e li giudica, li incasella; prese le note, si orienta. Direi che preferisce vedere gli uomini in vista del domani che non leggere libri».

Il colloquio fu molto lungo. Iniziò alle sedici e durò fin alla mezzanotte e riprese il giorno successivo. Maria José tratteggiò un ritratto impietoso, ma ingiusto, di Vittorio Emanuele III. Lo presentò come un uomo certo dotato di intelligenza, ma dall’animo «acido, scettico, cinico», incapace di gustare una bella musica o un bel tramonto, privo di sentimenti e isolato dalla nazione: un uomo che si era «dato al fascismo» perché subiva «la violenza morale del più forte». Poi accennò alla necessità di trasformare profondamente la monarchia per avvicinarla al popolo, si discusse della guerra civile, della situazione politica italiana, dell’ipotesi di un rientro in Italia della Principessa e della opportunità che fossero gli inglesi a facilitare il suo rientro e quello del principino.

A questo colloquio ne seguirono altri, nel corso dei quali Maria José e il suo interlocutore si ritrovarono attorno all’idea che la monarchia avrebbe potuto salvarsi soltanto evolvendo «in senso liberale e democratico» avvicinandosi al tipo delle monarchie nordiche. Si discusse di Umberto che non sembrava alla moglie l’«uomo più adatto per affrontare un’ora così difficile» e si accennò all’ipotesi di una reggenza della principessa fino al raggiungimento della maggiore età da parte del figlio primogenito. Peraltro, Maria José si mostrò preoccupata che potesse sembrare che ella stesse facendo «una politica sua per la reggenza» e dichiarò che avrebbe lasciato la Svizzera solo se il marito l’avesse richiamata.
Interesse inglese

Per portare avanti l’ipotesi della reggenza affidata alla principessa, Gallarati Scotti ebbe diversi incontri sia con gli inglesi sia con esponenti politici italiani. Le cose però andarono diversamente. Vittorio Emanuele III, contrario per principio all’ipotesi di una reggenza, scelse prima la strada di affidare la luogotenenza del regno al figlio Umberto e poi di abdicare in suo favore.

L’ipotesi di una reggenza di Maria José non era praticabile anche perché Vittorio Emanuele III non l’avrebbe mai accettata. Del resto, era una ipotesi che si era affacciata diversi anni prima in un contesto che Gallarati Scotti non conosceva e non poteva conoscere. Un documento most secret, conservato negli archivi del Foreign Office e utilizzato nel 1986 da Donatella Bolech Cecchi e da Vanna Vailati, rivela che nel settembre del 1938 sarebbe stato messo a punto un piano per abbattere il fascismo. Il punto di forza del piano sarebbe stata proprio la reggenza di Maria José. Il colpo di Stato sarebbe dovuto scattare il 26 settembre. Umberto, quel giorno, avrebbe dovuto rinunciare ai diritti di successione ereditaria in favore del figlio, che aveva allora un anno e mezzo, e avrebbe dovuto consegnare l’atto di rinuncia a un avvocato milanese, antifascista ed esponente della vecchia Italia liberale. Sarebbe stata proclamata la reggenza di Maria José e sarebbe stata deliberata una assunzione pro tempore dei pieni poteri da parte del maresciallo Pietro Badoglio in attesa della designazione dell’avvocato milanese a primo ministro. Nella mattinata successiva, l’esercito, su disposizione del capo di Stato maggiore Rodolfo Graziani, avrebbe assunto il controllo di alcuni punti nevralgici a Roma, Milano, Torino, Venezia e Verona. Umberto avrebbe poi messo il padre di fronte al fatto compiuto costringendolo a firmare l’atto di abdicazione e nel pomeriggio del 28 sarebbero stati diffusi alla nazione un proclama e i discorsi della Reggente e del nuovo primo ministro. Il piano, a quanto risulta dalla documentazione contenuta negli archivi inglesi e basata su rapporti dell’ambasciatore inglese al Cairo che ne avrebbe avuto notizia dalla stessa Maria José, non sarebbe più scattato per l’evoluzione della situazione internazionale culminata nell’incontro di Monaco che avrebbe accreditato l’immagine di un Mussolini mediatore e difensore della pace in Europa.

Su questa vicenda, peraltro, Maria José non volle più tornare nel dopoguerra, ma essa dimostra come l’ipotesi di una reggenza affidata alla sua persona non fosse del tutto campata in aria e che trovasse attenzione, se non proprio appoggio, soprattutto presso gli inglesi. E non è un caso che proprio agli inglesi pensasse, per ottenere sostegno al suo progetto, Gallarati Scotti.