Paolo Granzotto, il Giornale 16/06/2009, 16 giugno 2009
EREDITA’ AGNELLI: MARGHERITA E’ UN OSSO DURO
Caro Granzotto, non abbiamo ancora digerito lo «scandalo Casoria» che già si prospetta lo «scandalo Agnell»? Mi pare che da una questione di beghe familiari che concernono la divisione dell’asse ereditario si sia passati alla piazzata. Lei che è dentro le segrete cose, pensa che presto vedremo volare gli stracci?
Consolata Bembo e mail
E dagli, con le segrete cose: sappia, gentile lettrice, che io non sono addentro nemmeno alle mie, di segret cose (pensi che avevo inguattato un cento euri che mi sarebbero serviti per pagare un collo in contrassegno - io detesto il contrassegno - e quando il collo finalmente arrivò non mi ricordai e non ricordo tuttora il luogo, segreto, dell’inguatto), si figuri quelle degli altri. Comunque si, siamo agli stracci che volano. E il via alle danze lo ha dato quel gentiluomo vecchio Piemonte di Gianluigi Gabetti, il curatore del patrimonio dell’Avvocato, chiedendo pubblicamente a Margherita Agnelli di dichiarare, sempre pubblicamente, quanto ha già ricevuto in eredità. Così che il mondo sappia, questa dovrebbe essere l’intenzione, che di palanche ne ha avute tante e che dunque la sua richiesta di averne ancora non è chic (Margherita gli ha risposto di scartabellare un pò fra le sue, sue di Gabetti, carte, perché tutto è agli atti). Gabetti è un grande, gentile lettrice. Ma anche i grandi commettono degli errori. Grazie al benvolere di Suni Agnelli, che alla morte dell’Avvocato impugnò lo scettro di capofamiglia (elevando, con un abbraccio, Montezemolo alla presidenza della Fiat), Gabetti mantenne il ruolo, precedentemente ricoperto con la soddisfazione di tutti, di fiduciario del parentado. Ma chissà perché ritenne di potersi comportare col parentado come si comportava l’Avvocato. E cioè con affettuosa sbrigatività e all’insegna di «quel che decido io va bene per tutti. Punto». Con tale piglio, che lui, affrontò Margherita che gli chiedeva conto, si era nel febbraio del 2003, di certi tesoretti rimasti fuori dalla divisone ereditaria. Stando alle cronache, sembra che l’accomiato dicendole: «Lei non è degna di chiamarsi Agnelli» o una cosa del genere. Errore! Allarme rosso! Perché se c’è una Agnelli, questa è Margherita. Una Agnelli da cima a fondo e molto amata, molto, dall’Avvocato. Che con lei si confidava al punto di permetterle, poi, di quantificare l’entità dei tesoretti nella bella cifra di uno virgola quattro miliardi di curi. Consumato il primo errore, Gabetti ne commise un secondo. Allorché Margherita acri le vie legali, invece di chiudere la partita venendo a un accomodamento, partì la lancia in resta pensando di ottenere a chius’occhi (la controparte era difesa da quello che a Torino defmivano un oscuro avvocatucolo) che la causa fosse discussa in un tribunale svizzero. Il processo, invece, si terrà in Italia (Girolamo Abbatescianni non è un avvocatucolo), cosa che avrebbe dovuto consigliare Gabetti di cercare un compromesso extragiudiziario, fmché era in tempo. Ma Gabetti, uomo roccioso, seguitò a presumere di doversela vedere con tale signora De Phalen, robetta ai suoi occhi, e non con una Agnelli nelle cui vene ribolle il sangue dell’Avvocato. Pertanto andò avanti, giocandosi ogni possibilità di sistemare le cose in camera caritatis. E non trovando di meglio, ora che siamo alla stretta fuiale, che fare volare gli stracci. Chissà, forse per intimorire Margherita continuando a non capire che Margherita è una Agnelli. Gente che quando il gioco si fa duro scende in campo a pie’ pari.