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 2009  giugno 18 Giovedì calendario

QUANTO COSTA AL SISTEMA IL BOOM DI BOCCIATI CON LA RIFORMA GELMINI


Per gli studenti della scuola secondaria si avvicina il momento della prova di maturità. La prima che ha visto ufficializzato il giro di vite verso la meritocrazia grazie alla riforma del ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. Aumentano i bocciati, diminuisce la qualità media della didattica e cresce la spesa pubblica per l’istruzione: la maturità di quest’anno puntava tutto sull’innovazione, ma per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) la nostra scuola è in ritardo sulla media Ue.
Secondo le stime del ministero, sono oltre 372 mila i ragazzi che ripeteranno l’anno scolastico, il 15,4 per cento del totale di tutti gli studenti secondari. Inoltre, l’analisi compiuta su un campione del 10 per cento degli istituti di istruzione superiore italiani, ha visto aumentare di 1,6 punti, rispetto l’anno precedente, la percentuale di non ammessi alla maturità. Nel complesso il 6 per cento dei liceali, 28 mila alunni, non potranno partecipare alle prove finali. A pesare è l’introduzione di due elementi, il voto di condotta scolastica e la media minima (6 in ogni materia) per accedere agli esami. I primi commenti del ministro Mariastella Gelmini, al Tg1, sono stati cauti: «Non è mai bello che un ragazzo perda l’anno però io credo che questo aumento delle bocciature stia a significare il ritorno ad una scuola dell’impegno, ad una scuola del rigore, ad una scuola che prepara i ragazzi alla vita». Proprio il rigore è stata una delle parole d’ordine di quest’anno scolastico ormai alla conclusione. Il corpo docenti ha aumentato, secondo le direttive ministeriali, la dose di disciplina verso gli studenti e ora cominciano a vedersi i risultati. Tuttavia, per quello che potrebbe intendersi come un ritorno al ruolo formativo della scuola - bocciare dovrebbe essere un elemento del processo di educazione - può rivelarsi un costo non preventivato per lo stato italiano. I quasi 400 mila ragazzi che dovranno ripetere l’anno, secondo un’indagine dell’Associazione docenti italiani, lo faranno all’80 per cento nello stesso istituto che, nel 98 per cento dei casi, è una scuola statale. Ciò significa, prendendo in esame il costo medio per studente liceale Ocse, che le bocciature costeranno quasi 3 miliardi di euro allo stato, con un aumento di 300 milioni rispetto all’anno precedente. Scorrendo l’Oecd Economic Survey of Italy 2009, l’ultimo rapporto sul nostro paese, emerge uno scenario poco promettente.
Gli studenti italiani sono indietro. Lo ha sancito il test Programme for International Student Assessment (PISA), riguardante gli adolescenti di 15 anni in tutti i paesi dell’area Ocse. Guardando l’Italia si scopre che i nostri alunni sono indietro di due terzi di anno scolastico nei confronti della media Ue e di due anni rispetto ai primi in classifica, i finlandesi. Nella nostra penisola, più che in altre realtà territoriali, si sente la differenza fra nord e sud nelle performance educative. L’allarme riguarda principalmente il metodo di apprendimento degli studenti, che appare «inadeguato, obsoleto e poco stimolante». Fra le cause, il sistema di reclutamento e valutazione degli insegnanti: «La motivazione principale per accedere alla professione - rileva l’Ocse - sembra essere soltanto l’elevata sicurezza del posto di lavoro». L’unico stimolo per i professori sembra essere «l’avanzamento di carriera», che avviene «solo per anzianità e non per effettivi meriti». Sul capitolo della spesa, l’Ocse spiega che «il costo più elevato dell’istruzione italiana è ampiamente dovuto al rapporto insegnante per studente, che è del 50 per cento più alto. In Italia, infatti, vi sono 9,6 insegnanti ogni 100 studenti rispetto ai 6,5 nell’area Ocse». E per ogni scolaro, lo stato spende quasi 7.500 euro all’anno.
Fra le soluzioni sostenibili per l’Italia, l’Ocse consiglia di «dare maggiore autonomia di gestione delle scuole ai dirigenti scolastici, anche nella selezione, valutazione e nello sviluppo delle carriere degli insegnanti». Questo avviene già da oltre 20 anni nel mondo anglosassone dove, oltre a parlare di meritocrazia verso i ragazzi, si applica lo stesso concetto al corpo docenti. Sono abituali le prove per gli insegnanti, come ricorda Riccardo Gallarà, preside del liceo classico Vittorio Alfieri di Torino: «Non dobbiamo stupirci se la didattica non è all’altezza degli altri paesi, gli insegnanti sono demotivati, svogliati, sottopagati e poco gratificati». Non manca, però, qualche ammissione di colpa quando spiega che «forse farebbe bene al sistema una scossa, come quella portata negli uffici pubblici, troppi docenti attendono solo l’arrivo dello stipendio in classe». E nel suo istituto, uno dei più prestigiosi del capoluogo piemontese, avvisa che «le nostre selezioni, basate sugli standard internazionali, ci hanno permesso di garantire una didattica migliore del 50 per cento rispetto alla media nazionale, ma ci è costata sforzi immani».
Ciò che l’Ocse poi aggiunge è che l’Italia non deve dimenticare il ruolo formativo della scuola, al fine di creare le migliori condizioni di studio in ambito universitario. Nella classifica degli atenei più virtuosi, stilata ogni anno dal Times, c’è solo Bologna nei primi 200 posti. L’università La Sapienza di Roma è al 205esimo posto, il Politecnico di Milano al 291esimo, l’università di Padova al 296esimo. Secca bocciatura per la Bocconi di Milano, che non figura tra le prime 400. Maria Pia Garavaglia, ministro ombra del Pd per l’Istruzione, ha precisato che «qualunque paragone con le università americane è impossibile, per diversi motivi. Innanzitutto, negli Stati Uniti gli atenei sono tutti, Harvard in testa, fortemente privatizzati». Ha poi aggiunto che «l’ordinamento universitario americano è profondamente diverso dal nostro. Ricordiamo, a titolo di esempio, i professori tutti a contratto e molto collegati al mondo dell’impresa». E di impresa si deve discutere, dal momento che il 56 per cento degli studenti della scuola secondaria decidono di non proseguire gli studi, ma entrare nel mondo del lavoro. Franco Garelli, preside di Scienze Politiche a Torino, spiega che «l’analisi Ocse ed il numero dei bocciati fanno allarmare, se consideriamo che tutti questi fattori si ripercuoteranno sul mondo universitario». Anche lui è concorde che serve un giro di vite, ma non giustizialista, bensì metodologico. Quindi, parafrasando il giudizio Ocse, largo all’aumento del numero degli studenti per classe, raggruppamento dei piccoli istituti e riduzione delle ore di insegnamento, limitatamente alle materie non obbligatorie. Ma soprattutto, incentivi e premi solo ed esclusivamente ai docenti più efficienti. Anche se, ricorda l’Ocse, «per l’Italia il raggiungimento della media Ue si può ipotizzare solo nel 2017».