Antonella Olivieri, ཿIl Sole-24 Ore 19/6/2009;, 19 giugno 2009
LA CRISI CORRODE I PROFITTI DEI BIG
Anche i ricchi piangono. L’indagine sulle multinazionali industriali curata da R&S-Mediobanca indica che la crisi economica ha iniziato a corrodere la redditività dei big mondiali già lo scorso anno. vero che il confronto con il 2007, per lo meno per le grandi aziende europee, è impari: solo un anno e mezzo fa le multinazionali del Vecchio continente mandavano in stampa bilanci con utili pari al 9% del fatturato, stabilendo non solo il record di redditività del decennio, ma anche il sorpasso sulle rivali americane. Ma la virata del 2008 è stata comunque brusca. Complici i maggiori oneri finanziari e le svalutazioni di avviamenti, partecipazioni e strumenti finanziari vari, i profitti delle europee si sono ridimensionati al 6,2%, quelli delle giapponesi sono precipitati dal 4,1% (comunque il top del decennio) a un modesto 1,1%. Quanto alla redditività delle multinazionali americane, la strada in discesa era stata imboccata con un anno di anticipo, passando dall’8,7% del 2006 al 7,4% del 2007 e infine al 5,8% del 2008. Questo pur in presenza di un giro d’affari ancora in espansione del 10% su entrambe le due sponde dell’Atlantico, mentre le multinazionali nipponiche nel 2008 avevano già segnato il passo con un calo delle vendite del 6,5 per cento.
Il "miracolo" del Roe
E, tuttavia, se si va a guardare il principale indicatore della reddi-tività, si scopre che, a sorpresa, le star d’oltreoceano continuano a brillare. Per loro il Roe (return on equity), col 23,4%, non solo è superiore a quello delle multinazionali europee (18,4% dal 26% dell’anno prima), ma è addirittura in crescita rispetto al 2007 quando viaggiava al 21,9%. Come si spiega il miracolo di utili in calo e redditività in aumento? Semplice: dato che il Roe è un rapporto tra ritorno e patrimonio, basta abbassare il denominatore. Così hanno fatto i big a stelle e strisce, che di finanza se ne intendono. Le multinazionali nordamericane hanno insistito nella politica di massicci buyback, riacquistando ancora azioni proprie per 156 miliardi di dollari, dopo il record di 181 miliardi del 2007. E altri 131 miliardi di mezzi propri sono andati in fumo per l’allineamento ai valori di mercato dei fondi pensione. Complessivamente è sparito il 23%del patrimonio dei big nordamericani: il risultato è stato un brusco ridimensionamento della "copertura" dei debiti, con il rapporto tra patrimonio netto e debiti finanziari, sceso dal 252,8% del 2007 al 180,5% del 2008. Meno marcata invece la flessione per le multinazionali europee, che però storicamente sono meno "solide" delle americane: il patrimonio netto si è attestato infatti al 133% dei debiti rispetto al 159,5% precedente. In generale il patrimonio delle multinazionali risulta in calo perchè il cash flow generato non è più in grado di compensare come in passato gli esborsi per dividendi e buy-back.
Un trimestre in discesa
Il 2009 non si apre meglio. I dati del primo trimestre, aggregati per settore, rivelano, con poche eccezioni, un calo a due cifre di utili e fatturato (si veda la tabella in pagina). Mentre le telecomunicazioni timidamente reggono sui ricavi (+0,9%), ma quasi dimezzano gli utili ( 45,2%), le utilities viaggiano alla grande su tutti i fronti: +7,9% il fatturato e +59,3% il risultato netto. Si tingono di rosso invece i conti trimestrali di materiali da costruzione, mezzi di trasporto, elettronica, metallurgia-siderurgia e pneumatici-cavi. Nel complesso l’aggregato mostra una discesa dei profitti pari al 75 per cento.
Un peggioramento che conferma un trend. Già la seconda metà del 2008 aveva segnato un marcato rallentamento rispetto alla prima parte dell’anno: il fatturato era calato del 10,4% per le multinazionali nord-americane e del 4,6% per le europee, mentre l’utile netto era crollato del 58,5% per le prime e del 64,1% per le seconde.
La classifica
La top ten per dimensioni registra poche variazioni rispetto allo scorso anno. Nelle prime tre posizioni si confermano Toyota, Royal Dutch Shell e Gazprom.
Del resto, nel mondo, energia e automotive sono sinonimo di grande. Da sole le multinazionali energetiche rappresentano infatti il 26-27% del fatturato realizzato dal campione nel Nord America e in Europa, quasi il 40%nell’area russo-asiatica, e addirittura il 68% in Sudamerica, Africa e Australia. Quanto all’industria dei mezzi di trasporto è la seconda attività sulle due sponde dell’Atlantico (17% nel Vecchio continente, 19% in Usa e Canada).
Ma grandi dimensioni non significano necessariamente grandi utili. Così, se la classifica per risultati economici è dominata dall’energia (in testa Exxon,
Shell e Gazprom), quella delle perdite è guidata dai big Usa dell’auto:al primo posto Gm (-22 miliardi di euro nel 2008), al terzo Ford (- 10,5 miliardi). Le americane
Conoco-Phillips (energia) e Freeport (settore minerario) sono rispettivamente alla seconda e quarta posizione per i conti in rosso, ma soprattutto perchè hanno dovuto svalutare massicciamente gli avviamenti.
Lo Stato padrone
Nell’industria e nei servizi il peso dello Stato sui big mondiali è meno rilevante di quanto lo sia nelle banche, almeno nel Vecchio continente, dove alla sfera pubblica fa capo il 19% delle attività e il 14% dei dipendenti delle multinazionali del campione. Fa eccezione l’Italia, dove i grandi gruppi a controllo statale rappresentano il 49,6% dei ricavi della categoria, in compagnia di Russia (47,6%) e Svezia (37%). Maè la Francia, dove le multinanzionali pubbliche pesano "solo" per il 28%, a tenere alta la bandiera della grandeur: con oltre 200 miliardi di giro d’affari riferibile ai gruppi statali è in valore assoluto il più alto livello al mondo.