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 2009  giugno 19 Venerdì calendario

LA RABBIA DEI LETTONI: «SIAMO LA NUOVA SIBERIA»

Alla fine, funziona sempre. La rabbia dei lettoni si scioglie sulle note dell’inno nazionale. La protesta contro i tagli ai salari pubblici e le pensioni che si temeva potesse trasformarsi in una rivolta come a gennaio, si chiude quando il segretario del sindacato Lbas, Peteris Krigers, evoca la patria.
Non era un esito scontato. La tensione era palese prima dell’inizio della manifestazione organizzata all’Esplanade,il giardino di fronte al palazzo del governo. «Abbiamo paura di una rivolta, a gennaio la situazione ci è sfuggita di mano: eravamo in centro, hanno spaccato tutto», spiega Inta, del servizio d’ordine.
Attorno a lei ci sono circa 5mila persone, aspettano che sul vecchio camion russo predisposto come palco appaiano i sindacalisti. «I maestri d’asilo non sono pecore», dice il cartello di Agnese: «Il mio stipendio, da settembre, calerà del 53% a 140 euro. Così non si può vivere», racconta. «La Lettonia è la nuova Siberia», aggiunge amaro Martis, insegnante di educazione fisica: «Lo stipendio è troppo basso».
La rabbia è evidente, tutta contro il governo. «L’Estonia, la Lituania non devono fare questi sacrifici », dice Aleksis, studente, ignaro del fatto che, proprio in queste ore, i due paesi stanno varando i loro tagli. «Noi abbiamo speso un miliardo di euro per salvare una banca e ora dobbiamo stringere la cinghia per ottenere soldi dalla Ue», aggiunge. «Abbassano i salari e aumentano le tasse, come vivremo?», è il lamento di tutti. «Abbiamo governato molto male» ha dovuto ammettere, in Parlamento, persino il presidente della Repubblica Valdis Zatlers.
Non funziona, allora, il tentativo di trasformare la rabbia in un’invocazione al presidente della Commissione Ue, perché conceda il prestito da 1,7 miliardi di euro che servirà a evitare la svalutazione del lat. «Barroso! Barroso! Barroso!», urlano i sindacalisti dal camion, ma la folla non li segue.
Non funziona neanche il tentativo di dialogo del governo. A sorpresa, il ministro delle Finanze Einars Repse si presenta all’Esplanade, ma la folla quasi lo assale, non vuole che parli. Va via. «Il ministro ha detto: "Ho firmato i tagli, ma non sono d’accordo" », ironizzano i sindacalisti, ma anche loro hanno siglato l’intesa con il governo e hanno poi organizzato le proteste.
Solo il richiamo alla patria riesce ad addolcire le emozioni: dopo il discorso di Krigers, che richiama tutti alla disciplina, parte l’inno nazionale del 1920. Molti cantano, una vecchia signora piange, un pugno chiuso si leva, isolato. Il rabbioso incantesimo che legava tutti si spezza, la collera non si coagula in violenza.
All’esterno dell’Esplanade,Riga prosegue intanto la sua vita tranquilla, quasi indifferente al crollo dell’economia. «In Lettonia la rivoluzione c’è - spiega Juris Paiders, editorialista contrario al cambio fisso del lat - ma è silenziosa. Il governo ha fatto molte sciocchezze, ha perso la fiducia della gente che, semplicemente, ha smesso di pagare le tasse. Sarebbe stato meglio affidare il cambio al mercato». L’esecutivo, aggiunge, ha ceduto alle pressioni estere: «Se la Ue ha bisogno che il lat non svaluti, perché dobbiamo contrarre noi un prestito? Dividiamoci le responsabi-lità! ». Anche perché, e Paiders non è il solo a pensarlo, i problemi sono solo rinviati: sia la svalutazione, sia la rabbia dei lettoni. A ottobre i disoccupati non riceveranno più sussidi, e allora il governo starà preparando un’altra manovra, pesante come l’attuale. Saranno giorni difficili, ancora una volta.