A. N., ཿIl Sole-24 Ore 19/6/2009;, 19 giugno 2009
LA FAIDA DI TEHERAN FRA EX RIVOLUZIONARI
Il discorso di Khamenei alla preghiera del venerdì sarà storico, sostengono gli uomini vicini alla guida suprema, massima carica della repubblica islamica, quella su cui si fonda la teocrazia voluta da Khomeini. MirHossein Moussavi ne è talmente consapevole che ha chiesto all’onda verde di scendere ancora in piazza. Per capire cosa accade bisogna fare un passo indietro, al 3 giugno 1989, per salire a Teheran nord, ed entrare nella stanza della casa di Jamaran dove Khomeini sta morendo.
Accanto al letto dell’Imam,oltre ai figli Ahmad e Zhara, troviamo tutti i protagonisti di oggi: Hashemi Rafsanjani, il vero decisore, capo del parlamento, il suo vice Mehdi Karroubi e il presidente Alì Khamenei. Rafsanjani convoca anche il primo ministro Moussavi e l’ayatollah Ardebili capo del giudiziario: saranno loro tre insieme, molto più tardi, ad annunciare alla nazione la scomparsa dell’Imam. Hashemi è il regista: ordina di tagliare le linee telefoniche, isolando il paese, mobilita i pasdaran e fa riunire l’assemblea degli esperti per la nomina ufficiale di Khamenei a successore dell’Imam. La rapidità è fondamentale per ridurre i tempi di reazione degli altri ayatollah, capi della varie fazioni, contrari a Khamenei: «Gli abiti della guida - sostengono- sono troppo larghi per lui».
una foto di famiglia rivoluzionaria in un interno che dice qual è la resa dei conti a Teheran: riguarda direttamente il pilastro della teocrazia. Rafsanjani e Karroubi sono con Moussavi, sull’altro fronte Khamenei,rimasto solo al comando, che si gioca la carta Ahmadinejad, da lui proiettato nella mischia contro Rafsanjani. Il destino di Ahmadinejad è anche il suo, anche se come successore pensa ovviamente a un turbante nero come lui, per esempio un Mehdi Kamushi, cinquantenne ayatollah, gran famiglia di bazarì, capo dell’organizzazione della propaganda islamica.
Khamenei nell’estate dell’89 è l’erede di Khomeini, una decisione presa quando viene fatto fuori, qualche mese prima il delfino dell’Imam, Alì Hussein Montazeri. Ma per fargli spazio, l’Imam ha dovuto cambiare le sue stesse regole: è infatti previsto che la guida sia un ayatollah e per di più una "fonte dell’imitazione", cioè il massimo grado religioso.
Khamenei manca di tutte queste credenziali, non è ayatollah e ha interrotto da tempo gli studi teologici: è diventato famoso negli anni ’80 per essere l’unico pezzo grosso sopravvissuto a un attentato che gli ha leso un braccio. Viene quindi modificato, nella primavera dell’89, l’articolo 109 della costituzione, allargando le maglie dei parametri per la nomina a Leader.
Khamenei ha la strada spianata ma la repubblica islamica ha già incrinato la sua legittimità. E soprattutto per troppi anni, pur essendo al vertice, viene oscurato da Rafsanjani, che in otto anni alla presidenza diventa l’uomo potente e ricco dell’Iran. Nel ’97 si sceglie anche il successore alla presidenza andando a ripescare, sepolto alla Biblioteca nazionale, Mohammed Khatami.
Rafsanjani ha un progetto: creare un società con il turbante al posto della corona dove ognuno può avere la sua " corte", a patto di osservare certe regole esteriori. La guida suprema punta invece a conservare il modello di Khomeini. Su consiglio della destra religiosa e dei pasdaran Khamenei accoglie Ahmadinejad e lo impone alla ribalta: ha bisogno di forze fresche, capaci di rinnovare la retorica populista della rivoluzione. La guida, però, appare sempre un passo indietro rispetto ai tempi della politica iraniana: gli altri creano gli eventi, lui sembra subirli. Anchequesta volta non aveva intuito dove tirava il vento che ha sollevato l’onda verde e prepara la reazione, una drammatica resa dei conti dentro la famiglia rivoluzionaria che coinvolge un’intera nazione.