Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  giugno 16 Martedì calendario

IL NON-MERITO AZZOPPA IL PIL


FATTORE DI CRESCITA - Un confronto dell’Italia con gli altri paesi Ue mostra come i sistemi scolastici migliorino la produzione e cambino gli stili di vita

Il settore dell’istruzione e, con colpevole minor attenzione nel nostro Paese, quello della ricerca sono al centro dell’attenzione politica nei paesi industriali. L’idea di fondo, riassunta nelle periodiche raccomandazioni dell’Ocse, e al centro della ormai negletta "Strategia di Lisbona" dell’Unione Europea, è che oltre la crisi, nel medio-lungo termine una buona istruzione e una ricerca efficace sono tra i principali motori di benessere, non solo economico. Studi comparativi segnalano che dove l’istruzione è migliore e più accessibile e dove i sistemi nazionali di ricerca sono efficienti, non solo si produce ma si vive meglio (usando in modo migliore, ad esempio, il leisure, ovvero il tempo di non-lavoro).
All’Italia si pone una domanda concreta: è possibile quantificare quale sia stato il costo del "non-merito" per la nostra economia? In particolare quanto pesa il non-merito negli strategici settori di istruzione e ricerca? Un’operazione complessa ma non impossibile. Vediamo cosa accade se esaminiamo istruzione secondaria e universitaria e la ricerca (si veda anche il terzo rapporto Luiss «Generare Classe Dirigente», edito dal Sole 24 Ore).
L’idea di fondo delle simulazioni fatte è quella di inserire il divario tra l’Italia e gli altri paesi europei avanzati, in termini di "qualità" dell’istruzione e di "produttività" della ricerca, in equazioni già testate da altri studiosi su dati Ocse o Ue, e pubblicate sulle principali riviste economiche internazionali, che spieghino alternativamente il livello del Pil, o del Pil pro capite, o del tasso di crescita. Si tratta di esercizi che danno prime indicazioni, certo perfezionabili, ma significative, sull’impatto economico del "non-merito" nell’istruzione e nella ricerca.
Nel complesso, se si assimila il merito alla qualità degli esiti conseguiti in questi settori, si otterrebbe per l’Italia una stima del costo macroeconomico del non-merito compresa tra 1.080 e 2.671 euro pro capite, pari a una perdita di Pil tra 63,6 e 157,3 miliardi di euro. Se poi si guarda agli aspetti dinamici, la stima degli effetti sul tasso di crescita medio annuo risulta pari a 0,43 punti percentuali del Pil pro capite (percentuale collocabile tra effetto minimo ed effetto massimo), quantificabile a sua volta in una perdita di Pil dell’ordine di 2.300 euro pro capite in un orizzonte temporale di 10 anni.
Si tratta di valori significativi, soprattutto per un paese come il nostro che da un quindicennio soffre di un problema di bassa crescita, relativamente ai paesi a noi più simili e in considerazione dei vincoli strutturali che l’Italia sopporta (alto debito pubblico; aumento dell’età media della popolazione).
Dalle stime effettuate, il non-merito nell’ambito specifico dell’istruzione secondaria "costa" tra il 2,6% e il 5,6% del Pil pro capite qualora la qualità dell’istruzione italiana venga comparata con la media Ue. Si tratterebbe di una "perdita" stimabile tra 941 e 1.987 euro pro capite. In termini di tasso di crescita del Pil pro capite, il non-merito nell’istruzione secondaria "costa" tra 0,23 e 0,40 punti percentuali annui rispetto alla media Ue. Ciò significa che se l’Italia adeguasse la qualità dell’istruzione alla media europea, non solo guadagnerebbe in termini di un prodotto pro capite più elevato, ma anche in termini di una crescita del Pil più rapida.
Un costo analogo in termini di crescita del prodotto pro capite si può stimare anche nel caso dell’istruzione universitaria: a seconda dell’indicatore utilizzato per valutare la qualità dell’università, il non-merito può "costare" all’Italia oltre 0,1 punti percentuali di crescita annua. Infine il non-merito nel settore della ricerca, definito come gap di produttività media del ricercatore in Italia rispetto ai paesi Ue, "costa" tra lo 0,4 e l’1,9% del Pil pro capite quando la produttività dei ricercatori italiani - misurata con i brevetti per addetto - viene confrontata con la media Ue. Si tratterebbe di una "perdita" stimabile tra 139 e 684 euro pro capite.
 chiaro che oltre a costituire un vincolo per il benessere non materiale delle generazioni presenti e future, la scarsa qualità della nostra istruzione e ricerca hanno già pesato e peseranno ancora sul reddito degli italiani.