Moisés Naím (traduzione di Fabio Galimberti), Il sole 24 ore 16/06/2009, 16 giugno 2009
IL VENTO DI LIBERTA’ SOFFIA CON FORZA SUL PIANETA
Non che andasse tutto a meraviglia prima che l’ayatollah Alì Khamenei confermasse la notizia che gli iraniani e il mondo intero potranno godersi un nuovo mandato presidenziale di Mahmoud Ahmadinejad e che la protesta invadesse l’Iran. Il fatto è che prima di questo annuncio avevamo avuto un paio di settimane decisamente insolite. Settimane durante le quali sono successe cose che ci avevano portato un certo sollievo di fronte al fiume di cattive notizie a cui eravamo abituati da un po’ di tempo.
Il discorso di Obama in Egitto, ad esempio, è stato una buona notizia. Perfino Khaled Meshal, il leader di Hamas, ha dovuto riconoscere che «indubbiamente Obama parla un linguaggio nuovo. Se gli Stati Uniti desiderano aprire una fase nuova, noi saremmo più che felici di collaborare». Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e i discorsi lasciano il tempo che trovano, ma tra Hamas e gli americani è meglio ascoltare parole di questo genere che non quelle che eravamo abituati a sentire. Quella stessa settimana, e in quella stessa area, si è svolto un altro evento altrettanto confortante, il dibattito televisivo tra Ahmadinejad e il suo principale concorrente alle presidenziali, Mir-Hossein Moussavi: «Lei ha danneggiato la reputazione del nostro Paese, ha promosso conflitti di vasta portata con altre nazioni e i suoi metodi finiranno per condurci a una dittatura», ha detto in quell’occasione Moussavi al presidente in carica, di fronte a milioni di spettatori. Anche queste sono parole che in passato era difficile sentir pronunciare in televisione dai leader della teocrazia iraniana.
Buone notizie sono arrivate anche dal Libano. In un Paese in cui per decenni le rivalità politiche venivano risolte a pistolettate, e dove ha un peso determinante l’influenza della vicina tirannia siriana e di Hezbollah, appoggiato dall’Iran, si sono svolte elezioni pacifiche, vinte da una coalizione di partiti tenuta insieme dal rifiuto nei confronti dell’influenza di Damasco, dell’interferenza di Teheran e della violenza di Hezbollah. Naturalmente, Hezbollah non ha deposto le armi, la Siria e l’Iran continueranno a cercare di tenere sotto controllo il Paese dei cedri e la violenza potrebbe riesplodere. Ma nonostante tutto questo le elezioni in Libano ci hanno offerto una boccata d’aria fresca.
Buone notizie sono arrivate anche da dove nessuno se lo aspettava. Nel distretto di Dir, nel Nord del Pakistan, più di mille abitanti infuriati hanno deciso di organizzarsi per sradicare i talebani, cacciandoli dai loro villaggi. Fino a poco tempo fa, uno scenario del genere era inimmaginabile. In quelle province di frontiera con l’Afghanistan, la gente guardava con simpatia ai talebani e ai loro sforzi per applicare le leggi islamiche, e c’era un forte rifiuto nei confronti di qualunque genere di intervento militare contro di loro. Ora la popolarità dei talebani è precipitata e gli attacchi dell’esercito pachistano, con l’appoggio della popolazione, li hanno costretti a ripiegare. I costi umani sono stati devastanti. Due milioni e mezzo di pachistani hanno dovuto abbandonare le loro case in quello che le Nazioni Unite definiscono il trasferimento di profughi più rapido e importante dai tempi del genocidio in Ruanda. Per il momento l’opinione pubblica dà la colpa di questa tragedia ai talebani.
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Ma nel giro di poco tempo la situazione disperata potrebbe trasformarsi in un’esplosione politica contro il governo di Islamabad.
Anche ad al-Qaeda di questi tempi le cose vanno male, in Pakistan. Molti dei suoi leader stanno abbandonando i loro rifugi nella zona di frontiera e stanno cercando di trasferirsi in Somalia e nello Yemen, dove vedono un ambiente più ospitale per le loro operazioni. I loro vertici hanno subito negli ultimi tempi importanti rovesci. I leader di al-Qaeda in Pakistan si sono lamentati pubblicamente della mancanza di denaro e di armi. Al-Qaeda non sparirà, ma fa piacere apprendere che le cose non stanno andando come piacerebbe a loro.
Questa insolita serie di buone notizie (relativamente) ora è stata troncata dall’annuncio del leader supremo dell’Iran, che ha spiegato che il travolgente - e probabilmente fraudolento - margine di vittoria di Mahmoud Ahmadinejad è un "segnale divino". E tanto basta. Questo è tutto. Ha parlato l’ayatollah. E milioni di iraniani - e il resto del mondo - dovranno sopportarne le conseguenze. Ma anche lui. E una delle conseguenze è che non potrà più fingere che l’Iran sia una democrazia o che non sia lui il responsabile della stagnazione economica, della povertà, dell’immensa corruzione e della brutale repressione che caratterizzano il paese di cui è a capo. Per anni Alì Khamenei ha potuto svincolare il proprio ruolo di capo supremo dalle responsabilità che ricopre nella gestione del paese. Ormai non più. Da ora in avanti è lui, e non il presidente dell’Iran, che dovrà essere indicato come il responsabile di quello che succede in questo paese.