Massimo Gaggi, Corriere della sera 19/06/2009, 19 giugno 2009
VISTI DA LONTANO
Voto a pagamento: e gli alunni migliorano
Premiate i vostri figli quando ottengono buoni risultati a scuola? Probabilmente sì. Li ricompensate anche rimpolpando la loro «paghetta»? Forse. Negli Stati Uniti da un po’ più di un anno alcune scuole stanno sperimentando qualcosa di più audace e controverso: un compenso in dollari per ogni buon voto ottenuto nei test tenuti periodicamente: 50 dollari per una A, l’eccellenza, 35 per una B, 20 per la C (poco più della sufficienza).
Concepito inizialmente da un giovane docente di Harvard (Roland Fryer) e sostenuto da varie fondazioni filantropiche (come quelle di Bill Gates ed Eli Broad), l’esperimento si è diffuso da Chicago a Washington, dal Texas a New York, sempre in un numero limitato di classi-pilota. Le polemiche non sono mancate: i voti a pagamento sono diseducativi, dicono in molti. Altri sostengono che, soprattutto nei quartieri maggiormente segnati dalla povertà e dal disagio sociale, un piccolo incentivo economico serve a motivare i ragazzi, a scuoterli, a evitare che vadano a lavorare o a cercare guadagni illeciti.
Anche i primi risultati parziali hanno alimentato letture contrapposte. Ora a New York sono arrivati i primi dati riferiti a un intero anno scolastico. Sono positivi: il profitto medio degli studenti è cresciuto più che nella media degli istituti della città, nei due terzi delle 59 scuole in zone povere della città che hanno partecipato al programma «Sparks». Gli esperimenti sono stati fatti solo in quarta elementare e seconda media, dove i ragazzi più meritevoli hanno ricevuto rispettivamente 250 e 500 dollari nell’arco dell’anno.
Nonostante questi dati confortanti, non è detto che l’esperimento continui. Ad Harvard vogliono essere ben certi della validità di questa nuova tecnica pedagogica, prima di passare dall’esperimento alla pratica quotidiana; e i dati complessivi arriveranno solo in autunno.
Joel Klein, il sovrintendente del sistema scolastico della metropoli, ha, comunque, mostrato di credere nel nuovo sistema di incentivazione magari modificando la formula: in alcune charter school di Brooklyn (istituti gestiti da privati ma utilizzando fondi pubblici) anziché soldi sono stati dati telefonini con schede prepagate. Man mano che i voti migliorano, i ragazzi vengono premiati con le ricariche.
I dubbi, però, rimangono forti. In un Paese in cui il dollaro è l’unità usata per misurare quasi tutto, le tendenze alla «monetizzazione» andrebbero frenate. I docenti, in maggioranza contrari all’esperimento, temono di essere schiacciati dalla cultura manageriale. Mesi fa, la maggioranza dei 74 amministratori delegati di grosse compagnie intervistati da USA Today si disse favorevole al programma dei «voti a pagamento ». Ma era prima della grande crisi finanziaria: da allora la popolarità dei capiazienda è precipitata.