Paolo Isotta, Corriere della sera 19/06/2009, 19 giugno 2009
QUANDO PAISIELLO ANTICIPO’ HAYDN
Nel suo «Requiem» la prima vera sinfonia dell’età moderna
Accadde a lungo, nell’Ottocento e nel Novecento, che scoperte o rinnovate esecuzioni di opere musicali modificassero il quadro stesso fin allora vigente della Storia della Musica. L’elenco sarebbe così lungo da essere stucchevole. Ciò a volte si verifica ancora: un esempio è di oggi, quando al Festival di Pentecoste a Salisburgo Riccardo Muti ha diretto, in prima esecuzione contemporanea, la Missa Defunctorum di Giovanni Paisiello. Su questa composizione soffia il vento vorticoso della Storia Universale; sì che narrarne le vicende sarebbe motivo di un libro, non d’un articolo, a sé.
In sintesi. Paisiello aveva scritto una Requiem nel 1789. Dieci anni dopo, quando Pio VI, papa Braschi, si rifiutò di accettare le vergognose condizioni impostegli da Napoleone, la sacra Istituzione, appunto impersonata da Pio VI, venne fisicamente arrestata dal generale Berthier e detenuta fino al 1799, anno della liberazione dell’anima dal corpo, nella terribile fortezza di Valence, quasi il sovrano spirituale e temporale fosse un comune delinquente. Le odiose vicende della repubblica giacobina di Roma, superate in efferatezza solo da quella napoletana, sono note. Papa Braschi ebbe diritto a una celebrazione funebre l’anno dopo; ma a Napoli, a opera della Corte borbonica. Paisiello rielaborò profondamente la Requiem tanto da farne altra e diversa composizione: ebbene, l’ascolto del pezzo, per due cori e due orchestre, è tale che la prima Missa Defunctorum della musica moderna diviene questa, anticipando, ma con una mano ben più elegiaca, quella di Berlioz. Il suo ethos avveniristico con moto pendolare alterna l’eroico colla tenerezza, e se di quest’ultima disposizione dell’animo volessimo trovare un’eco, dovremmo volgere lo sguardo alla Requiem di Gabriel Fauré.
Cominciamo col dire che Paisiello è uno dei maggiori orchestratori del suo secolo: nella Requiem non vi sono trombe, tromboni e strumenti a percussione. I soli ottoni presenti sono i due corni per ciascuna orchestra, e a loro è affidata la Tuba mirum, con un effetto fantasmatico di evocazione concettuale da lunge. E ora dobbiamo menzionare un elemento sconvolgente di novità. L’inventore del Poema Sinfonico è Haydn col Preludio della Creazione, scritto in una forma di Sonata che simula equivoci tonali ed è genialmente raccorciata. Ma Paisiello pone in antiporta alla sua Requiem una Sinfonia, ch’è un pezzo sinfonico indipendente anche se penetra sottilmente per legami tonali e richiami motivici (l’insistere sul piede trocaico, da sempre emblema funebre) l’intera opera. Ebbene, questa Sinfonia, anticipante Haydn, sarebbe il primo vero Poema Sinfonico della Storia, se... Le due orchestre si alternano o sovrappongono sornuotando il dolore: ma con didascalie che spiegano gli intesi ethos e pathos di ciascuna sezione.
indispensabile una digressione sulla musica «imitativa » o «descrittiva». invenzione tra il tardo Rinascimento e il Barocco; restando sempre ancorata a intenzione scherzosa od onomatopeica, alla quale non sfugge l’opus più famoso di Vivaldi, Le quattro stagioni, non a caso fornito di Sonetti esplicativi di ogni imitazione. Siamo ancora nell’ambito di un’estetica che si attiene al motto «Ut natura poësis» inteso in totale ignoranza: in musica, dico, ché altrimenti dovremmo risalire a Marsilio Ficino, il quale aveva già tutto compreso. Ripigliamo il «se...» lasciato in sospeso per precisare che in realtà il solito gigante Haydn aveva già composto nel 1785 Le Sette Parole di Cristo in Croce, serie di Adagi strumentali, salvo Il terremoto
(e che coraggio ci vuole a scrivere un’intera opera fatta solo di Adagi), ciascuno dei quali è un piccolo Poema Sinfonico circoscritto nel genus ma mirabilmente diverso nell’ethos: per orchestra. uno dei suoi capolavori assoluti. Qui arriva Paisiello con la sua Sinfonia. Ma non dimentichiamo il fatto che Lesuer, disgraziatamente maestro di Berlioz, e ancor più disgraziatamente per noi e lui conoscitore del Greco antico, ha lasciato una biblioteca sterminata di brogliacci inediti (passim ed. Boschot) che osiamo sperare tali restino, nella quale denomina la «musica imitativa» Pantomime hypocritique e la spiega, la vuole spiegare. Non c’è legame fra ciò e Paisiello.
Dura, la Sinfonia, un quarto d’ora ed, essendo in Do minore, fa troppe meravigliose incursioni, specie nello Sviluppo, nel tono di Fa minore, inteso allora come il vertice del dolore, che non possono essere casuali. A parte incredibili simiglianze colla Marcia funebre dell’Eroica, procede in contrappunto o echi tra le due orchestre che sentono l’influenza delle musiche militari francesi (ma, ricordo, senza gli ottoni, la percussione e l’oficleide indispensabili a un Francese per scrivere una Marcia Funebre) ovvero, come sostiene Riccardo Muti, sono la reminescenza delle Marce Funebri delle Bande pugliesi ascoltate nella prima infanzia dal Maestro. In fatto, le due tesi sono esenti da contraddizione, vanno integrate e fuse. E le varie didascalie, Smanie, Pianto, Popolo afflitto e addolorato, non vanno intese nel senso dell’imitatio ma della idealizzazione neoclassica di sentimenti o fatti. La composizione, come dico, è imponente e straziante a un tempo e meriterebbe anche un’esecuzione autonoma in sede sinfonica se non fosse che i legami con la Requiem intera verrebbero spezzati e confusi. Al testo della Messa da Requiem, Paisiello aggiunge, prima dell’Introitus, un coro indipendente, Quale funus e quattro Responsorï prima del Libera me.
Come faccia Paisiello a intonare un testo così eteroclito e nell’ambito della Grande Forma sinfonica è mistero che lasceremo ad altri interpretare: ma basterebbe una ben condotta analisi della partitura dispiegante la strutturazione dei rapporti tematici, tonali e motivici nella lunghissima composizione per arrivare a comprenderlo. Questo è ciò che, per atto pratico ma evidente intensissima concentrazione intellettuale, ha fatto Riccardo Muti, al quale si deve, come dicevo in esordio, con tale esecuzione una variata prospettiva della Storia della Musica che non verrà cangiata mai più. Trattandosi per la Requiem d’un testo severo, difficoltoso, di mirabile mano contrappuntistica, il successo entusiastico ha sorpreso me per primo.