Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  giugno 17 Mercoledì calendario

LA CINA ALLA RIVOLUZIONE SANITARIA


Pechino scommette su una riforma che potrebbe essere d’esempio anche per gli Usa - SITUAZIONE DISASTROSA - Tra il 1985 e il 2000 il reddito medio pro capite è aumentato di 20 volte, mentre la spesa per le cure mediche è cresciuta di ben 133 volte

Oltre al rango di superpotenza economica mondiale, Stati Uniti e Cina condividono un’altra caratteristica: un sistema sanitario dissestato. Mentre la Casa Bianca si appresta a rendere pubblico il suo piano di riforma, potrebbe essere istruttivo guardare al di là del Pacifico dove è in corso uno sforzo ambizioso per rendere le cure mediche accessibili alla popolazione rimasta ai margini del boom economico.
Oggi più di 200 milioni di cinesi non hanno un’assicurazione malattia, i costi delle prestazioni mediche di qualità sono alle stelle, il divario tra campagna e città è aumentato, i rapporti medico-paziente sono pessimi e le proteste si susseguono. Dopo anni di cambiamenti graduali, il governo di Pechino ha annunciato una riforma triennale finanziata con 124 miliardi di dollari che, entro il 2020, darà un’assistenza medica «sicura, efficace, conveniente e accessibile» a oltre 1,3 miliardi di cittadini.
La spesa è stata decisa in un momento critico. Con una popolazione scontenta della sanità erogata attualmente, e nel bel mezzo di una recessione economica globale, si capisce che il governo di Pechino tema disordini sociali. Ma mentre la scala di questo nuovo sforzo è senza precedenti, non si può dire che il problema sia nuovo.
Dopo la fondazione della Repubblica popolare nel 1949, il partito dovette affrontare una situazione gravissima. Per 540 milioni di abitanti c’erano meno di 40mila medici con una formazione in medicina occidentale. La stragrande maggioranza viveva nelle città, mentre l’80% della popolazione viveva nelle zone rurali. I leader del partito, compreso Mao Zedong, riconobbero che per aumentare la produzione agricola e raggiungere gli obiettivi del "Grande balzo in avanti" bisognava migliorare la salute dei contadini. Nel corso di una delle sue campagne di massa, il partito mandò a curarli un personale appositamente formato.
La salute era un tema portante della Rivoluzione culturale, e in un famoso discorso del 1965 il presidente Mao chiese che il lavoro sanitario «insistesse sulle campagne». Il governo creò un sistema medico cooperativo (Smc) tripartito - "medici a piedi scalzi", ambulatori nelle comuni, ospedali rurali - gratuito per il 90% della popolazione.
Dopo una formazione da tre a sei mesi, giovani contadini diventavano medici "a piedi scalzi" ai quali erano affidate le cure essenziali, il pronto intervento, l’immunizzazione contro le malattie infettive più diffuse e l’educazione alla salute e all’igiene.
Mao sbagliò molte cose ma non questa. L’American Medical Association constatò che il sistema medico cooperativo «aveva ridotto la mortalità infantile da 250 a 40 vittime per mille nascite, raddoppiato l’aspettativa di vita e ridotto drasticamente l’incidenza delle malattie infettive».
All’inizio degli anni 80, la Cina si avviò verso un’economia di mercato e il governo centrale tagliò i finanziamenti al sistema medico cooperativo, trasferendone il costo e la responsabilità alle autorità locali. In città come in campagna, i lavoratori perdettero improvvisamente la rete di sicurezza dalla culla alla tomba, garantita un tempo dall’economia pianificata, e milioni di persone rimasero senza alcuna forma d’assicurazione.
Secondo un rapporto pubblicato dal ministero della Sanità, la spesa sanitaria dello Stato passò dal 36,2% nel 1980 al 20,3% nel 2007. Cronicamente a corto di soldi, i governi locali autorizzarono i medici ospedalieri ad arrotondare lo stipendio facendosi pagare le prestazioni. Il sistema è tuttora in vigore e molti ospedali ripagano i propri costi prescrivendo e vendendo farmaci e terapie estremamente lucrose (e per lo più inutili).
Di conseguenza, il divario tra città e campagne si è allargato ulteriormente. Nel 2000, i tre quarti dei cinesi vivevano nelle campagne, ma la loro spesa sanitaria rappresentava soltanto il 22,5% di quella nazionale. Sempre stando ai dati del ministero della Sanità, tra il 1985 e il 2000 il reddito medio pro capite è aumentato di venti volte, ma la spesa sanitaria di 133 volte. Oggi molti cinesi non si fanno curare, non se lo possono permettere.
David Wood, un consulente del ChinaCare Group a Pechimo ed ex dirigente di un ospedale statunitense, dice che «non c’è alcuna rete di sicurezza, in Cina... niente soldi, niente cure». Cita alcune stime secondo le quali i pazienti pagano di tasca propria dal 70 all’80% della spesa sanitaria totale.
Nel 1998, il governo aveva cercato di rimediare instaurando per i dipendenti delle aziende pubbliche e private un’assicurazione obbligatoria, per la quale il contributo prelevato in busta-paga e integrato dal datore di lavoro poteva arrivare fino al 10% dello stipendio annuo. Nel 2005 istituiva per la popolazione rurale un’assicurazione da 2,5 dollari di cui 1,25 a carico dell’assicurato. Nessuna delle due iniziative ha avuto il successo sperato, occorreva una riforma radicale.
Il nuovo piano è molto più ambizioso. Entro il 2011 fornirà servizi sanitari di base o un «nuovo sistema medico cooperativo» al 90% della popolazione urbana e rurale. In secondo luogo, il sistema degli approvvigionamenti sarà snellito e agli ospedali e alle cliniche pubbliche arriveranno i farmaci essenziali a prezzi controllati dal governo.
Infine, entro i prossimi tre anni, 5mila cliniche e 2mila ospedali saranno costruiti nei distretti rurali e 2.400 cliniche nelle comunità urbane. Inoltre saranno formati 1,37 milioni di medici rurali, e 160mila medici di comunità e i medici degli ospedali pubblici dovranno lavorare in campagna per un anno prima di poter ottenere una promozione.
Un simile investimento segnala una svolta fondamentale nell’atteggiamento dei dirigenti cinesi. Hanno imparato che la privatizzazione del sistema sanitario può incidere negativamente sulla salute dei cittadini e che il governo non può rinunciare a intervenire. Oltre a diminuire i costi per i cittadini, il piano di riforma intende creare migliaia di posti di lavoro e diminuire la disoccupazione, incentivare i consumi e gli investimenti privati e frenare l’esodo verso le grandi città di milioni di contadini, che rendono ingestibile la previdenza sociale.
La riforma sanitaria cinese è complessa, e sarà ardua da realizzare. In primo luogo, serviranno regolamentazioni amministrative e legali più robuste e stringenti di quelle esistenti. Ci vorrà anche un’etica professionale rigorosa, medici che proteggano gli interessi del paziente, invece d’abusarne come accade oggi con le prestazioni a pagamento. La riforma avrà profonde implicazioni per centinaia di milioni di cinesi e anche per il resto del mondo. Se funzionasse, per il paese più popolato in assoluto, sarebbe un successo clamoroso che gli aspiranti riformatori ovunque si trovino, anche negli Stati Uniti, potrebbero ritrovarsi presto a copiare.