Riccardo Sorrentino, Il sole 24 ore 17/06/2009, 17 giugno 2009
LA LETTONIA DICE SI’ AI SACRIFICI
In arrivo tagli dal 20 al 70% per gli stipendi dei dipendenti pubblici - LA POSTA - In ballo c’è il prestito internazionale da 1,7 miliardi necessario per salvare moneta, finanze pubbliche e sistema bancario
RIGA. Dal nostro inviato
Sono in dodici, in gran parte anziane signore. Sotto lo sguardo di una telecamera, all’esterno del municipio di Riga, mostrano cartelli di protesta. Sono contrarie alla chiusura del vecchio porto sul fiume Daugava.
Tutto qui. Non c’è altro. Nella giornata più difficile della crisi, la Lettonia sembra tranquilla. Anche nei dintorni della Saeima, il parlamento, si aggirano solo scanzonati turisti e impegnatissimi burocrati in impeccabile abito nero. All’interno però i deputati stanno discutendo misure draconiane, poi votate in serata con una maggioranza di 63 a 30: tagli agli stipendi pubblici e pensioni, aumenti dell’Iva.
I lettoni sono chiamati a fare sacrifici per il mondo intero, o quasi, ed è difficile per loro dir di no. In premio riceveranno subito dal Fondo monetario internazionale e dalla Ue 1,7 miliardi di euro, che eviteranno la svalutazione del lat, la moneta, e il parallelo aumento dei debiti esteri del Paese, oggi al 130% del Pil.
Le rinunce serviranno innanzitutto a salvare i lettoni e i mutui in euro che hanno allegramente contratto: «Era razionale farlo, costavano meno e dovevamo entrare nell’Unione monetaria», dicono. Serviranno anche a salvare le banche che hanno proposto e concesso quei prestiti. A salvare la Svezia, dove molte di queste aziende di credito hanno il quartier generale; poi anche l’Estonia, la Lituania, la Romania, la Bulgaria, forse l’Ungheria e la Polonia che per un «contagio rapido» - così l’ha chiamato l’agenzia di rating Fitch - sarebbero travolte da una crisi valutaria lettone. E quindi l’Italia, l’Austria, la Francia, il Belgio, la Svizzera, le cui banche hanno investito molto in quei paesi... L’intero impero economico dell’Unione europea dipende insomma da quanto accade in questi giorni a Riga.
I lettoni vorranno davvero assumersi questa responsabilità? Riga è calma, non sembra la capitale di un’economia in caduta libera, con il Pil più basso del 20% rispetto a un anno fa. La manovra «passerà», è la parola d’ordine. «In fondo, è come tornare al 2007», spiega Andris, alto funzionario pubblico. Vale anche per gli stipendi pubblici che negli ultimi tempi, ricorda, «sono aumentati del 25%, 30%, 35% ogni anno». Anche il suo stipendio sarà tagliato e non certo del 20-30% medio: i dirigenti statali vedranno i redditi calare del 70% circa.
« giusto così. Sembra tanto, ma nel settore privato non si arrivano a guadagnare quelle cifre», dice Jarockis, dipendente di una finanziaria, che ha già perso i suoi bonus. una piccola rivelazione: dietro l’apparente calma c’è anche l’idea che la crisi stia riducendo qualche privilegio e qualche inefficienza in un settore pubblico troppo coccolato dai politici. «La pubblica amministrazione è troppo grande per questo paese: occorrono riforme nel settore sanitario e in quello scolastico», spiega Martins Gravitis, portavoce di quella Banca centrale che non è stata in grado di impedire l’esplosione delle spese statali né di far introdurre freni ai prestiti in valuta.
Le misure del governo toccheranno in realtà un po’ tutti, e non solo i privilegiati. Alcuni insegnanti vedranno gli stipendi ridotti del 50%, le pensioni saranno tagliate del 10% se non ci sono altri redditi da lavoro e del 70% negli altri casi. Senza contare che aumenteranno le tasse e saranno compresse le spese. La manovra, la seconda del 2009, vale 500 milioni di lat, 715 milioni di euro: viste le dimensioni della Lettonia, è come una finanziaria italiana da 50-60 miliardi.
La rabbia allora c’è, ma resta latente e occorre navigare sulla rete per avvertirla. I sindacati lettoni, dopo l’accordo con il governo sui tagli, sono riusciti solo a rinviare le proteste, nella speranza forse di far sedimentare le passioni. Nessuno sa però come finirà lo sciopero di domani. Il primo ministro Valdis Dombrovskis ha invitato a fare «dimostrazioni pacifiche». Le manifestazioni del 13 gennaio si trasformarono in rivolta, furono lanciate molotov, e i dimostranti cercarono di entrare in parlamento. Dopo un mese il vecchio governo cadde.
Oltre alla rabbia c’è anche la paura che la storia non sia finita qui. Il deficit pubblico, dopo la manovra, potrà raggiungere l’11,6% del Pil contro un impegno internazionale di scendere al cinque. Cos’altro accadrà poi? Il paese ha già ridotto fortemente le importazioni, non vive più al di sopra delle proprie possibilità, al punto che ora vede ridimensionate anche le proprie potenzialità. «Il deficit con l’estero aveva raggiunto il 26% del Pil ma ora si è trasformato in un piccolo surplus. Non è una cosa buona per un’economia come la Lettonia, che per crescere ha bisogno di finanziamenti dall’estero, e quindi di un disavanzo», spiega Dainis Gaspuitis, analista di Seb Banka, che ha uno scatto d’orgoglio: «I lettoni sono coraggiosi ad assumersi tutta questa responsabilità».
allora il coraggio a contenere le passioni? Forse no, forse la Lettonia ha un piccolo segreto. «Dov’è la crisi? Chi la vede?», spiega guardandosi attorno un funzionario di banca che chiede di restare anonimo. «Le statistiche non dicono tutto: c’è un’economia sommersa che tiene ed è alimentata da flussi di finanziamenti irregolari provenienti dalla Russia o dall’Ucraina attraverso confini molto porosi». Così, allora, è tutto un po’ più semplice.