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 2009  giugno 18 Giovedì calendario

«CADE L’EXPORT, COMPRATE CINESE» SVOLTA PROTEZIONISTA A PECHINO


PECHINO – La direttiva è sta­ta emanata con un dispiega­mento di forze massiccio: da nove ministeri e l’ufficio legi­slativo del Consiglio di Stato, ovvero il governo. E il contenu­to è elementare. Comprate ci­nese. I destinatari sono tutti gli operatori economici gover­nativi, vigorosamente invitati ad «acquistare prodotti nazio­nali a meno che i prodotti o i servizi necessari non si possa­no ottenere in Cina a condizio­ni commerciali ragionevoli». In particolare, il monito vale per i progetti interessati dal pacchetto di stimolo da 585 mi­liardi di dollari varato nell’au­tunno scorso per fronteggiare il rallentamento della crescita.

Protezionismo. Il «Buy Chi­nese » riflette lo sforzo della leadership di Pechino di sop­perire sul fronte interno al de­clino dell’export. Proprio mar­tedì il vicepremier Li Keqiang aveva dovuto ammettere co­me «è improbabile un’inver­sione di tendenza nell’export a breve termine ed è difficile che si riesca a ottenere l’obbiet­tivo di quest’anno, che era sta­to fissato in un aumento delle esportazioni dell’8%». Non re­sta, dunque, che la domanda interna, da alimentare e soste­nere. E se, in parallelo ai prov­vedimenti lanciati dal gover­no centrale, nei mesi scorsi province e città hanno assisti­to a una fioritura di misure di incentivo al consumo, con buoni-acquisto e facilitazioni di ogni tipo, l’ordine di adesso lancia un segnale preoccupan­te agli investitori e alle azien­de straniere che coltivano il mercato cinese.

L’ambasciata americana a Pechino, interpellata dalla stampa occidentale, ha prova­to a sdrammatizzare, avverten­do che direttive che facilitano l’acquisto di prodotti e servizi nazionali esistono da tempo. Tuttavia, il passo cinese ha un peso simbolico paradossale. Era stata Pechino a rimprove­rare all’amministrazione ame­ricana di arroccarsi in un ”Buy American” sleale e contropro­ducente, salvo poi ritrovarsi a concordare con Barack Obama sul fatto che il protezionismo non può esser la soluzione alla crisi globale. E solo pochi me­si fa l’esecutivo cinese aveva rassicurato politici ed econo­misti: «Non lanceremo mai ini­ziative all’insegna del ”Buy Chi­nese – aveva promesso in una conferenza stampa il vice­ministro del Commercio, Jiang Zengwei – perché la competitività sul mercato do­vrebbe essere basata unica­mente su qualità e prezzo, e non sul Paese d’origine». Altro clima. Il premier Wen Jiabao mercoledì affermava che «l’economia cinese è in un mo­mento critico in cui sta comin­ciando a riprendersi»: ecco, se il rigurgito protezionista è il prezzo della ripresa, bisogna vedere chi è disposto a pagarlo.