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 2009  giugno 18 Giovedì calendario

E L’UNGHERIA TAGLIA LE AMBASCIATE


BRUXELLES – La crisi morde a Est, sempre di più. La Lettonia taglia stipendi e pensioni, e l’Ungheria taglia ambasciate e consolati, per motivi di risparmio: 4 ambasciate (Lussembur­go, Cile, Venezuela, Malesia) e 8 consolati ma­giari (fra cui quelli assai importanti di Chicago, Toronto e Düsseldorf) chiuderanno i battenti secondo un «piano di ristrutturazione» annun­ciato alle agenzie di stampa dal ministero degli Esteri. Obiettivo: risparmiare circa 7 milioni di euro all’anno. Ma a Budapest, l’opposizione par­la di una mossa ’autolesionistica’: e ricorda che quei 7 milioni sono briciole, in confronto ai 4,5 miliardi di euro che l’Ungheria intende risparmiare fra quest’anno e il prossimo, con un solenne impegno preso davanti al Fondo monetario internazionale.

 solo grazie a questa promessa che lo stesso Fondo ha concesso a Budapest una ciambella di salvataggio da 20 miliardi. Ed è grazie a una promessa quasi uguale – tagli, tagli, tagli, su tutti i capitoli di bilancio – che la Lettonia ha potuto ottenere a sua volta dall’Fmi una linea di credito privilegiata da 7,5 miliardi: la prima tranche da 1,2 miliardi dovrebbe arrivare all’ini­zio di luglio. Ma anche a Riga, si cammina sull’ orlo di un burrone: oggi sarà sciopero, proprio contro le riduzioni già decise (anche del 50% e oltre, in alcuni casi) per pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici. L’altro ieri, anche se in po­chi ci credevano, il Parlamento ha approvato l’ultima manovra finanziaria da oltre 700 milio­ni di euro: e la Lettonia si è guadagnata così le lodi della Commissione Europea e del Fondo, che hanno parlato di misure «coraggiose e am­biziose ».

Ma il problema è che, secondo il governo let­tone, anche alla fine di quest’anno il deficit pub­blico resterà inchiodato all’11,6% del Pil. Jo­aquin Almunia, il commissario europeo agli af­fari economici e monetari, ha chiesto a Riga di riportare quel deficit verso una zona di sicurez­za (3% del Pil) entro il 2012, e Riga ha promes­so che farà di tutto per raggiungere almeno il 5%, in vista del sospirato ingresso nella zona Euro: un traguardo non vicinissimo. Mentre lo stesso Pil continua ad essere superato, e di mol­to, dal fortissimo debito estero. Le voci che chiedono una svalutazione del Lat, come tera­pia d’urto e di emergenza, si susseguono da me­si. Ma anche quelle che, al contrario, vedono nella parità fra euro e Lat l’unico spiraglio di stabilità. La Lettonia è piccola (neppure 2,5 mi­lioni di abitanti) ma ha risucchiato i crediti in valuta pregiata di molte banche straniere, com­prese diverse ungheresi.

Ed è la locomotiva del Baltico, un simbolo per tutti i Paesi ex comunisti approdati al libero mercato: Estonia e Lituania corrono dietro a questa locomotiva, sullo stesso binario, espo­ste agli stessi pericoli di deragliamento. Mentre l’Ungheria, o la Polonia, corrono su binari paral­leli, non troppo lontani. Solo tre anni fa, tutti questi Paesi erano considerati un po’ l’America dell’Europa: ma nel senso buono della parola.