Guido Olimpio, Corriere della Sera 18/6/2009, pagina 18, 18 giugno 2009
LA RECESSIONE COLPISCE AL QAEDA
La recessione ha raggiunto anche Al Qaeda? A giudicare dagli appelli lanciati dai leader la risposta sembra essere affermativa. Il primo a sollecitare l’invio di aiuti è stato lo stesso Bin Laden, nell’audio del 3 giugno. La «voce» attribuita da Osama – dunque senza alcuna sicurezza che sia proprio lui – ha chiesto «assistenza volontaria e supporto» per alimentare la campagna in Afghanistan e Pakistan. Ancora più pressante il messaggio di Mustafa Abu Al Yazid, un dirigente qaedista noto per le capacità manageriale, che sette giorni dopo ha ammesso crescenti problemi. A suo dire i mujahedin hanno bisogno di «cibo, armi e tutto ciò che serve» per combattere. Dunque si è rivolto in particolare ai fratelli turchi affinché facciano collette per sostenere la Jihad.
Per gli esperti dell’intelligence la mancanza di fondi ha ragioni diverse. Primo. Le autorità dei paesi arabi dove i militanti raccoglievano il denaro hanno adottato misure di controllo più severe. Secondo. Le difficoltà del movimento in Iraq sono state accompagnate da una diminuzione di sequestri e taglieggiamenti, due importanti fonti economiche per i terroristi. Terzo. I finanziatori tradizionali hanno destinato le risorse ai movimenti locali – come nello Yemen – piuttosto che alla cosiddetta «Qaeda centrale ». Quarto. Un sostegno politico minore per i piani di Bin Laden.
Problemi di liquidità erano già emersi – e in modo clamoroso – in passato. Nel 2005 in una lettera diventata famosa Ayman al Zawahiri aveva chiesto alla componente irachena del gruppo, guidata da Al Zarkawi, l’invio di centomila dollari per rilanciare la lotta. Una somma non certo impossibile ma che contrasta con il quadro – esagerato – disegnato dopo l’11 settembre. Allora si disse che Al Qaeda avesse un budget di 30 milioni di dollari. In realtà molte inchieste hanno dimostrato che i militanti dovevano accontentarsi di un bilancio magro e quelli operanti in Occidente hanno imparato a sopravvivere con poche centinaia di euro al mese. Molti, per far quadrare i conti, si sono dedicati ad attività criminali, come il contrabbando, la droga, la vendita di capi contraffatti, i furti. Uno studio, preparato nel 2008, ha svelato aspetti sorprendenti. Un gruppo di reclute arrivato dall’Europa ha dovuto pagare per unirsi al movimento: 400 euro a testa destinati all’istruttore, altri 900 per coprire «spese militari » e due settimane di corso. Non è finita. Sembra che per raggiungere il teatro afghano abbiano dovuto sborsare 2 mila euro, la percentuale destinata al trafficante di uomini. Non è poi un mistero che sul fronte iracheno i volontari più graditi sono stati sempre i sauditi perché, rispetto alla media, possono portare in dote somme consistenti (oltre 2 mila dollari). Denaro usato, in minima parte, per campare, e in maggioranza come cassa comune delle varie formazioni.
Se la capacità strategica di Al Qaeda è diminuita lo si deve poi ad un impoverimento generale e alla concorrenza subita ad opera dei talebani. I fedelissimi del mullah Omar, l’altro grande fantasma della guerra ad Oriente, o quelli pachistani di Beitullah Mehsud hanno continuato a ricevere donazioni (da mercanti locali, da ricchi cittadini del Golfo Persico) e a sfruttare il racket della droga. L’oppio è un settore vitale per i guerriglieri: gestiscono direttamente il traffico, proteggono i contrabbandieri, impongono tasse di passaggio. E rispetto ai qaedisti storici hanno un vantaggio non secondario. Mentre Obama e Al Zawahiri si sono ritagliati un ruolo – ristretto – di commentatori, i talebani sostengono l’urto dello scontro. Sono loro «a fare», a colpire, a organizzare attentati spettacolari nelle principali città del Pakistan. Ed è probabile che i membri di quella che veniva chiamata «la catena d’oro», una rete informale di finanziatori basati nel mondo arabo, preferiscano dare una mano ai talebani, lasciando a Osama solo gli spiccioli.
Guido Olimpio