Varie, 18 giugno 2009
LAUREE PER VOCE ARANCIO
L’undicesimo ”Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati” presentato pochi giorni fa da Almalaurea dice che a un anno dalla laurea specialistica (formata da un triennio di base più il biennio di specializzazione) lavora il 97,7% dei laureati in professioni sanitarie (infermieri specializzati, ostetrici, tecnici della riabilitazione, esperti nella prevenzione). Tra i medici e gli odontoiatri la percentuale è dell’82%. Tra gli ingegneri (aerospaziali, biomedici, chimici, elettronici, navali e gestionali) la percentuale è del 77,8%. Seguono gli architetti (77,7%) e gli insegnanti (77,4%). Quelli che trovano lavoro più facilmente guadagnano anche di più: lo stipendio medio mensile dei neolaureati infermieri è di 1.530 euro; 1.286 euro quello dei medici, 1.321 euro per gli ingegneri.
Un’indagine Istat appena pubblicata e condotta su laureati del 2004 voleva controllare quanti lavorassero in modo continuativo a tre anni dal conseguimento della laurea (non sono stati considerati i titoli specialistici, ma solo le lauree del vecchio ordinamento e le lauree a ciclo unico del nuovo ordinamento). In questo caso, a tre anni dalla laurea, il maggior numero di occupati si ha tra gli ingegneri: 88,9% per gli ingegneri meccanici, 88,1% per quelli delle telecomunicazioni, 84,9% tra gli ingegneri chimici. Buone le prospettive occupazionali per le lauree in farmacia (82,5%), economia aziendale (76,3%), odontoiatria (75,4%). Basse invece le percentuali tra i laureati del gruppo giuridico (38,1%) e letterario (48,6%).
A un anno dalla laurea lavorano 58 donne su cento e 68 uomini su cento. Il 46% dei maschi ha un lavoro stabile contro il 35% delle femmine. Inoltre gli uomini guadagnano il 25% in più (circa 1.312 euro contro 1.053). Nell’ambito giuridico e geo-biologico trovano più facilmente lavoro i maschi, mentre nelle materie linguistiche, letterarie e politico-sociali sono le femmine ad avere più alti tassi d’accupazione.
Il sistema universitario italiano prevede due livelli di lauree: la triennale, primo gradino, e la magistrale, due anni in più, cui si può accedere solo dopo aver conseguito il primo titolo.
Conseguita la laurea breve (il triennio), circa il 40% degli studenti lascia gli studi e inizia a cercare lavoro. La scelta di abbandonare l’università dopo tre anni è più frequente al nord, mentre al sud tendono a continuare gli studi. Anche per la laurea breve (solo il corso triennale), quelli che trovano più facilmente lavoro sono i neo laureati nelle professioni sanitarie: a tre anni dal conseguimento del titolo di studio, lavora l’84,4%. Al secondo posto gli insegnanti di educazione fisica (41,4%), al terzo gli educatori (42,3%).
A poco più di tre anni dal conseguimento del titolo, i laureati che svolgono un lavoro guadagnano circa 1.300 euro; è più elevato lo stipendio di chi è laureato in corsi lunghi (1.310 euro contro i 1.293 dei triennali). Tra quanti hanno concluso corsi lunghi nel 2004, guadagnano di più i laureati del gruppo medico (1.881 euro), seguiti da quelli dei gruppi ingegneria (1.466 euro) ed economico-statistico (1.360 euro).
Nelle classifiche delle università più prestigiose al mondo, gli atenei italiani occupano posizioni basse. Quella che sta più in alto è l’Università di Bologna, al 192esimo posto. Ci sono anche: La Sapienza di Roma (205esimo posto); il Politecnico di Milano (291); l’Università di Padova (296); l’Università di Pisa (333); Federico II di Napoli (348); l’Università di Firenze (349); la Bocconi (404), la Cattolica di Roma (449); l’Università di Pavia (461). La classifica tiene conto di questi parametri: punteggio assegnato da accademici di tutto il mondo; punteggio assegnato dalle imprese che valutano i laureati; rapporto fra docenti e studenti; la qualità della ricerca condotta nell’ateneo; numero di collaborazioni, studenti e professori.
Studiare all’estero può essere il trampolino di lancio verso una carriera internazionale. Almeno un anno prima dell’iscrizione bisogna valutare l’equipollenza tra i titoli italiani e stranieri e attivarsi per i visti e le procedure necessarie. Negli Stati Uniti gli studi universitari si articolano in due step. Il primo, cui si accede dopo il diploma di scuola superiore, è il livello undergraduate, che consiste in corsi di due o quattro anni che portano a titoli come BA (Bachelor of Arts) per le discipline umanistiche, o BS (Bachelor of Science) per quelle scientifiche. Il livello successivo è quello dei costi di specializzazione con cui si consegue il dottorato, il titolo di Master’s degree o di Phd degree.
Tra tutti gli studenti italiani, il 2,4% frequenta università a distanza. Gli iscritti tra il 2007 e il 2008 sono cresciuti del 19%. Omniacom, Consorzio europeo per la formazione integrata, nel 2008 ha contato 249 corsi di laurea on line, distribuiti in 48 atenei, 12 dei quali telematici (privati e completamente virtuali, senza corsi di altro tipo), frequentati in tutto da 56 mila studenti. Per la teledidattica, più dell’80% degli iscritti si rivolge a università tradizionali, soprattutto Ferrara, Roma-Sapienza, Bologna, Macerata, Udine e i politecnici di Milano e Torino. Le lauree più gradite sono nei settori politico-sociale, economico-statistico, giuridico e ingegneristico (che raccolgono oltre la metà degli studenti).
Se si considera l’intero arco della vita lavorativa (fino a 64 anni) tra i laureati c’è il 10% di occupati in più rispetto ai diplomati. I laureati inotre hanno stipendi superiori del 65%.
Nell’anno accademico 2007/2008 si sono immatricolati 307 mila ragazzi (-0,3% rispetto all’anno precedente). L’84% s’è iscritto a corsi si laurea triennale, mentre il 15,5% ha scelto corsi di laurea a ciclo unico (medicina, farmacia, giurisprudenza ecc.). Le ragazze sono di più: su cento immatricolati ci sono 56 donne e 44 uomini.
Nel 2001 erano 242 le facoltà a numero chiuso (cui si accede solo superando un test d’ingresso). Nel 2006 erano diventate 1.060. Sono a numero chiuso («numero programmato», secondo la definizione della legge): medicina, veterinaria, odontoiatria, architettura, scienza della formazione, le scuole di specializzazione e vari altri corsi di recente attivazione. Alcuni atenei, per tutti gli altri corsi di laurea, hanno introdotto prove non selettive (nel 2008-2009 vi hanno preso parte 110 mila aspiranti matricole): l’accesso resta libero, i candidati sono valutati in base a prove di cultura generale o sulle materie previste dai programmi. Se non si superano le prove le conseguenze variano: debiti formativi, sbarramento agli esami, ripetizione del test. Alla Scuola superiore per interpreti e traduttori di Trieste la bocciatura implica l’impossibilità a iscriversi, come nel numero chiuso ufficiale.
L’Istat dice che i ragazzi si iscrivono a corsi universitari che si trovano nella stessa provincia di residenza (55% delle matricole). Il 25,4% rimane nella stessa regione, il 19,6% va a studiare lontano da casa.
Indagini della Federconsumatori dicono che per mantenere un ragazzo che studia lontano da casa se ne va il 29% del reddito di una famiglia, solo il 10% se rimane in casa. La prima voce di spesa per i fuori sede sono gli affitti: in media 450 euro mensili. La seconda voce sono le tasse universitarie, che su una media nazionale ammontano a 1.100 euro l’anno (ma possono anche essere più alte). Per l’acquisto di libri è stata calcolata una spesa tra 170 ed i 220 euro a semestre. A tutto ciò si devono aggiungere i pasti (circa 285 euro al mese), le spese per il tempo libero (170 euro mensili, che comprendono palestra, spese personali, divertimento) e i trasporti pubblici (un abbonamento annuale costa in media 150 euro).
Secondo il Sunia i prezzi degli affitti per gli studenti hanno raggiunto cifre stratosferiche. Un posto letto può costare anche 400 euro a Firenze, 450 a Roma e Napoli, 500 a Milano. Mentre una camera singola arriva a 650 euro a Roma, 650 a Napoli e Milano, 700 a Firenze.
Sul sito del Sole 24 Ore c’è un calcolatore per vedere quanto costa fare l’università. Si scrive il nome dell’ateneo, la durata del corso, la provincia di residenza, dove si vive e che tipo di pasti si fanno (se a casa o fuori, per esempio) e il reddito netto della famiglia. Qualche esempio: un fuorisede di Messina (reddito familiare 55-60 mila euro) che frequenta un corso quinquennale alla Bocconi, vive in affitto con altri ragazzi e mangia al bar, spende, per tutta la durata del corso, 74.792 euro. Lo stesso studente alla Sapienza di Roma spende 49.297 euro, a Bologna 41.766, ecc.
Non tutti fanno il lavoro per cui hanno studiato. Per esempio 6 laureati triennali su 10 dei gruppi giuridico e letterario svolgono un lavoro in cui non è richiesta la laurea. Ciò non accade ai medici (99 su 100 hanno un’occupazione consona al titolo di studio) ai laureati in farmacia (94 su 100), agli ingegneri (83 su 100).
Tra il 2001 e il 2008, secondo i dati di Almalaurea, la percentuale di giovani che hanno una conoscenza «almeno buona» dell’inglese è cresciuta di sette punti. I laureati del 2008, inoltre, conosce di più di informatica rispetto ai laureati del 2001.
Nel 2008 si sono laureati 293 mila studenti. Nel 2001 erano stati 172 mila. Ancora oggi uno studente su cinque smette nel corso del primo anno. Grazie alla riforma dell’università, che ha introdotto nel 2000 la formula «3+2» (tre anni per la laurea più altri due anni per ottenere la laurea specialistica), sono diminuiti gli studenti fuori corso (cioè che sono in ritardo con gli esami): nel 2001 si laureava nei tempi giusti il 9,5% degli universitari, nel 2008 la percentuale era del 40%. Nello stesso tempo è aumentato il voto medio di laurea: 108,7 su 110 nei corsi quinquennali (i voti più alti sono nel gruppo letterario e geo-biologico, i giudizi più severi si trovano a ingegneria – 107,4 – e nl gruppo giuridico – 106,9).
Parlava di studenti fuori corso già Elinardo, abate cistercense di Froidmont (Belgio), che attorno al 1200 criticava quegli eterni vagabondi che «percorrono il mondo intero e studiano le arti liberali a Parigi, gli autori classici a Orléans, la giurisprudenza a Bologna, la medicina a Salerno, la magia a Toledo, e non imparano i buoni costumi in nessun luogo».
Gli studenti tedeschi impiegano in media sei anni per completare un corso triennale e sono statisticamente i più lenti d’Europa. Nel corso degli ultimi anni, parecchi Laender (stati federati della Germania) hanno introdotto tasse (fra 300 e 900 euro) per chi è troppo in ritardo. Anche in Italia alcune università mettono tasse più alte per i fuori corso.
Prima della crisi economica negli Stati Uniti i laureati con master in business administration erano molto contesi. Il minimo di stipendio che, freschi di studi, potessero avere era di 70 mila dollari. Le grandi aziende li assumevano addirittura durante il corso e pagavano anche gli studi. Con la crisi non solo sono calate del 20% le iscrizioni alle scuole di business, ma si sono anche dileguate le aziende che corteggiavano gli studenti. L’associazione nazionale delle scuole di business americane ha stimato che le offerte di lavoro provenienti dal settore finanziario sono diminuite del 50%.