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 2009  giugno 18 Giovedì calendario

DONNE E LAVORO PER VOCE ARANCIO

Domanda del cardinale Ennio Antonelli, ministro vaticano della Famiglia: se il lavoro di una badante concorre alla formazione del Pil, perché non può concorrere alla formazione del Pil anche quello di una madre che fa lo stesso lavoro?

L’Ocse ha calcolato che gli uomini italiani hanno ogni giorno 83 minuti di tempo libero in più rispetto alle donne. Sono quelli con la differenza maggiore, seguiti da messicani (80 minuti), polacchi (62) e spagnoli (33). Le donne si svagano più degli uomini in Nuova Zelanda (2 minuti), in Svezia (6) e in Norvegia (16).

Paola Monti, economista della Fondazione Rodolfo Debenedetti, sul sito lavoce.info ha calcolato che il lavoro domestico (lavare, pulire, accudire bimbi e anziani) vale il 32,9% del Pil, cioè circa 433 mila milioni di euro (come le entrate tributarie del 2006). Di questa cifra il 23,4% è a carico delle donne (308 miliardi di euro), il 9,5 spetta agli uomini (125 miliardi).

Household production, termine che indica il tempo speso per produrre beni e servizi in casa. In media a questo tipo di occupazione si dedicano 3,89 ore al giorno. Scomponendo il dato, però, viene fuori che 1,92 ore le svolgono gli uomini, 5,78 le donne. Ogni ora ”costa” in media 7,83 euro, che al maschile diventano 8,76 e al femminile solo 6,94.

Costo del lavoro domestico in altri paesi: Olanda 9,86 euro l’ora, Francia 9,94, Inghilterra 10,93, Germania 11,12, Spagna 5,34. Il lavoro delle donne vale meno ovunque.

Ogni anno il lavoro casalingo assorbe 1.419 ore (circa 700 svolte dagli uomini, 2.110 dalle donne).

Per fare la spesa gli italiani perdono 43,3 minuti al giorno, gli americani 51,4, i tedeschi 57,4. Il compito di fare la spesa spetta soprattutto alle donne.

Secondo le stime dell’Irs le badanti in Italia oggi sono 774 mila, di cui 700 mila straniere. Le nuove badanti sono più giovani delle precedenti: hanno in media 37 anni, contro i 42 delle donne arrivate prima del 2005. Solo il 60% ha un marito. Una su tre (cioè circa 232 mila lavoratrici) ha un regolare contratto di lavoro. Il 73% delle badanti che vivono con la persona che accudiscono guadagna tra 750 e mille euro netti al mese. L’11,5% supera i mille euro, mentre tra le lavoratrici a ore la percentuale di donne che guadagnano oltre mille euro è del 25,7%.

In Gran Bretagna l’organismo di autoregolamentazione Financial reporting council sta studiando nuove misure per aumentare il numero delle donne nei consigli d’amministrazione. Il quotidiano finanziario Financial Times arriva a chiedere per le donne il 30% dei posti nei cda. Però non si tratta di quote rosa obbligatorie. Il principio è quello del «comply or explain» (adeguati o spiega perché no): le aziende che non hanno donne nei cda, nella relazione annuale devono spiegare il motivo di questa assenza. Secondo gli esperti ciò spingerebbe le aziende ad avere anche la parte femminile nei consigli d’amministrazione.

In Italia su cento amministratori d’azienda solo quattro sono donne.

Le aziende italiane quotate in Borsa che hanno donne nei cda, nel periodo 2004-2008, hanno registrato una crescita del 21% nell’Ebit (reddito operativo aziendale, cioè l’utile operativo ottenuto senza contare la gestione finanziaria e le tasse).

Tra giugno 2007 e giugno 2008 in Italia le donne hanno aperto 5.523 nuove imprese. In totale sono 1.243.824 aziende attive. Il 71 per cento delle nuove ditte (3.921) sono guidate da una donna extracomunitaria (cinesi al primo posto, seguite da marocchine e nigeriane, con ucraine ed albanesi fra le più dinamiche). Regioni dove le donne sono state più intraprendenti: Lazio (46% delle nuove aziende), Lombardia e Campania (rispettivamente con 1.739 e 1.038 imprese in più).

Zhang Yin, 51 anni, fondatrice e principale azionista del colosso industriale ”Nove Dragoni” (fa scatole da imballaggio con la carta riciclata). Ha un patrimonio personale superiore ai 4 miliardi di dollari, costruito in una sola generazione. stata la persona più ricca della Cina.

Una donna su tre è convinta che un aspetto seducente aumenti le possibilità di ottenere una promozione.

Il 33% delle donne pensa che la cosa che conta di più nel lavoro è la bella presenza; il 46 l’affabilità; il 20 le conoscenze.

Donne favorevoli all’applicazione di quote per la parità in azienda: 33%. Contrarie: 66%.

L’Italia è il Paese europeo con la più bassa percentuale di donne che lavorano: 47,2% rispetto a una media Ue del 59,1%. Solo l’Emilia Romagna ha raggiunto il cosiddetto obiettivo di Lisbona (60%), superandolo addirittura di qualche punto.

Un’impresa su due nella ristorazione e nei servizi alla persona (asili, per esempio) ha un capo donna.

Dove è più diffuso il part time, c’è maggiore istruzione e occupazione femminile. Esempio: in Svezia, dove la percentuale di lavoro part time sul lavoro totale è del 23%, le donne tra 25 e 64 anni con un’istruzione superiore o universitaria sono l’85%. In Italia, dove il part time è il 12,7%, la percentuale è del 48%.

Dove si spende di più per la prima infanzia, c’è maggiore istruzione e occupazione femminile. Esempio: in Svezia e Danimarca, dove rispettivamente il 3,5% e il 4% del Pil è destinato a questo tipo di sostegno economico, la percentuale di donne con istruzione superiore è dell’85% e del 79%. In entrambi i paesi, la percentuale di donne con istruzione superiore occupate supera il 75%. In Italia e in Spagna, dove si investe per la famiglia poco più dell’1% di Pil, le donne più istruite non raggiungono il 50%. Quelle istruite che lavorano sono il 65% e il 61%.

Secondo l’istituto statunitense Workplace Bullying, il 40% dei responsabili di mobbing è costituito da donne. Nel 70% dei casi le vittime sono donne a loro volta.

Il caso di Caroline Kennedy, figlia di JFK, che avrebbe voluto prendere il posto di Hillary Clinton al Senato. Ha fatto andare in bestia le mamme lavoratrici, che l’hanno giudicata la «classica figlia di papà» che «vuol sfondare senza fare prima neppure un giorno di gavetta». Ha rinunciato a candidarsi.

Il caso della ministra francese Rachida Dati, che a cinque giorni dal parto cesareo, in tacchi e tailleur è tornata al lavoro tutta sorridente. Rabbia delle femministe che hanno accusato: fornisce ai datori di lavoro un buon argomento contro tutte quelle che si prenderanno il congedo dopo il parto.

Sono almeno 120 le aziende americane che permettono alle mamme di portarsi i figli al lavoro e hanno creato per loro spazi appositi. Proteste dei colleghi single: «Non vado al lavoro tutti i giorni per sentire gli strilli assordanti di un neonato né per odorare i suoi pannolini sporchi o vederlo poppare il latte dal seno di sua madre».

Inchiesta di Newsweek per rispondere al seguente quesito «In quale parte del mondo le donne hanno più possibilità di fare carriera: negli Stati Uniti, dove il congedo di maternità dura tre mesi, non esistono asili pubblici, né agevolazioni per i padri; o in Europa, dove il periodo di maternità retribuita va da cinque mesi a tre anni, gli asili sono gestiti o finanziati dallo Stato e una miriade di agenzie governative sono incaricate di promuovere le pari opportunità?». Risultato: 1. Usa, 45% di donne dirigenti; 2. Gran Bretagna, 33%; 3. Svezia, 29%; 4. Germania, 27%. L’Italia è al 18%. In sostanza incentivare le donne ad abbandonare il lavoro per periodi molto lunghi (non meno di un anno, in media, in Italia) significa accrescere la probabilità di esclusione, o di auto-esclusione, dai percorsi di carriera più gratificanti.

In Italia una donna su cinque smette di lavorare dopo la maternità. Nel 31% dei casi ciò avviene perché o la licenziano o non le rinnovano il contratto.

Da noi il tasso di occupazione delle donne è del 46%, quello degli uomini è del 70. La retribuzione femminile media è di 15 mila euro l’anno, quella maschile di 21 mila. Al momento della pensione, gli uomini prendono il 64% dell’ultimo stipendio, le donne il 46%. La pensione media di una donna è di 520 euro al mese, quella di un uomo di 980.

Rivelazione di Claudia Cardinale: «Franco Cristaldi mi faceva lavorare con le più grandi produzioni cinematografiche, pagandomi meno delle sue impiegate».