Francesco De Pretis, La stampa 17/06/2009, 17 giugno 2009
MA ANCHE 23 ERRORI L’HANNO FATTO GRANDE
Anche i Grandi sbagliano. Già, ma quando a sbagliare è un certo Albert Einstein, corre un brivido. Con un titolo provocatorio, Hans C. Ohanian, professore di fisica all’Università del Vermont, ha dedicato un libro agli errori dello scienziato più celebre: «Einstein’s Mistakes: The Human Failings of Genius».
Ventitré gravi errori vengono segnalati durante la sua eccezionale carriera. Che Albert non fosse proprio un Einstein nelle materie non scientifiche lo si sapeva già da tempo: quando a 16 anni chiese l’ammissione al Politecnico di Zurigo, ottenne ottime votazioni in fisica ed in matematica (sarebbe davvero sorprendente il contrario). Peccato che negli altri campi non fosse proprio un secchione. Venne rimandato a casa, con l’invito a ripresentarsi solo quando si fosse munito di un certificato di maturità in tutte le materie. Il resto è storia: a 26 anni pubblicò sui prestigiosi «Annalen der Physik» la Teoria della Relatività Ristretta, diventando in pochi anni - da quello sconosciuto impiegato all’ufficio brevetti di Berna che era - un membro riconosciuto del pantheon della fisica.
Quello che però, maliziosamente, sottolinea Ohanian è che Albert dal lontano 1905 - anno del debutto nel circus della big science - commise una sfilza innumerevole di errori, proprio nei campi che gli avevano concesso l’immediata notorietà internazionale, in primis la Teoria della Relatività. Soffermandosi su quel 1905, ribattezzato l’«annus mirabilis» e che vide la formulazione della Relatività ristretta, dell’ipotesi del quanto di luce e del moto browniano, si resta basiti: Einstein - accusa Ohanian - ne commise di tutti i colori, capitalizzando ben sei errori su argomenti cruciali di fisica e matematica. Ce n’è per tutti i gusti: da considerazioni sbagliate sulla sincronizzazione temporale dei cosiddetti «orologi relativistici» a errori di calcolo matematico sulla viscosità dei fluidi, necessari per dedurre la grandezza delle molecole. Non solo. Albert commise anche la prima serie di errori nella dimostrazione originale della celeberrima formula E=mc², errori che si trascinò dietro fino al 1946 nelle successive sei nuove dimostrazioni della formula più famosa del mondo.
Poi, andando avanti con gli anni, le «sviste» aumentarono: sbagli su orologi relativistici in sistemi non inerziali, imprecisioni sulla curvatura dei raggi di luce, errori nell’interpretazione della meccanica quantistica - che liquidò sprezzantemente con la battuta «Dio non gioca a dadi» - fino a quello che lui stesso (forse per l’unica volta nella vita) - considerò la sua più grave mancanza, la costante cosmologica: era una variabile fittizia da lui introdotta per garantire la staticità dell’Universo nel 1917, 12 anni prima che l’astronomo americano Erwin Hubble dimostrasse che si sta espandendo.
E tuttavia, persino con l’immagine «sporcata» di E=mc², resta l’interrogativo: com’è stato possibile per Einstein raggiungere i successi che l’hanno reso immortale? Ohanian pensa di aver trovato una risposta: «Molti degli errori che ha commesso erano del tutto necessari. Altrimenti non sarebbe stato in grado di arrivare ai successi nella Relatività Ristretta e Generale: quelle ”sviste” gli avrebbero indicato la strada corretta per giungere alla verità».
Un esempio? «Faccio quello classico. Per giungere alla Relatività Generale, Einstein prese una scorciatoia attraverso quello che è chiamato ”principio di equivalenza”. Osservò che il comportamento fisico all’interno di un ascensore in caduta libera è tale e quale a quello di uno spazio dove non vi sia la gravità. Le cose improvvisamente sembrano galleggiare, cosicché la gravità e l’accelerazione sono equivalenti. Beh... questa è proprio una scorciatoia, perché in realtà non è vero. Anche in un ascensore in caduta libera sarebbe possibile - sia pure con sofisticati esperimenti - rilevare la presenza del campo gravitazionale nel quale si sta cadendo. Einstein se ne fregò di questi piccoli dettagli e ciò gli permise di arrivare alla Relatività Generale abbastanza velocemente. Sono pronto a scommettere che, se altri scienziati avessero voluto affrontare il problema della Relatività Generale, considerando anche tali reali sottigliezze, avrebbero di certo impiegato altri 20 anni prima di giungere a una corretta formulazione della teoria».
A lettura conclusa, più che demitizzare Einstein, il saggio di Ohanian lo rende un po’ più umano. Tuttavia, come disse una volta il fisico inglese Paul Dirac, «bisogna giudicare uno scienziato non dal peggior lavoro che ha fatto, ma solo da quello migliore». Ecco perché Einstein - agli occhi di tutti - rimane ancora oggi il numero uno.