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 2009  giugno 17 Mercoledì calendario

TARZAN, IL RE DI PARIGI


Da uomo scimmia a icona ecologista che lotta contro i bracconieri

Fino al 27 settembre il museo del quai Branly è consacrato all’«eroe»

Esposti animali impagliati, libri e reperti delle sette degli «uomini leopardo»

Ecco qua, ad uso dei lettori studiosi, poliglotti e soprattutto che si preparano a passare le vacanze nelle foreste tropicali africane, alcuni vocaboli che potranno essere loro utili: gorilla è «bolgani»; elefante: «tantor»; danza: «voo-dum». E così via, 500 parole si era inventato l’egregio Edgar Rice Burroughs, tutto il lessico che le grandi scimmie hanno inculcato al loro allievo, il piccolo ma già robustissimo Tarzan. A proposito: sapete come si dice pesce? Si dice «pizza».
Diabolico Burroughs. Si vede che aveva navigato biograficamente nella avventura, soldato, cow boy, minatore, agente della pubblicità. E buon scrittore. Bisogna andare, e di corsa, nelle sale del seriosissimo museo del quai Branly che consacra a questo mezzo uomo e mezzo animale che rifiuta le aberrazioni della modernità una splendida mostra (fino al 27 settembre): libri e fumetti, film, animali impagliati, zagaglie, veri reperti delle sette degli «uomini-lepopardo», insomma Tarzan, anzi «Tarzan!». Se lo è ben meritato questo eroe nato il primo dicembre 1911 negli Stati Uniti, o meglio: «alle porte della foresta vergine, in una piccola capanna, mentre un leopardo ruggiva alla porta...»». Ventisei romanzi, 15 milioni di copie vendute, 15 mila fumetti e 42 film ha partorito la mamma, l’animosa lady Greystoke.
Nelle sale troverete tutte le risposte. Ad esempio: quale era il vero nome di Tarzan? John. Banaluccio. E’ Kala, la scimmia, che ha ribattezzato giudiziosamente il promettente marmocchio trascinandoselo nella giungla: «tar» scimmia, e «zan» bianco, ovvero la scimmia bianca E lì che il mito comincia. Perché, sia Tarzan o Mowgli, nella vita si entra attraverso le parole, sono loro che rendono umani. E Tarzan è poliglotta: parla il bantu, la lingua dei primati e il latino, lo spagnolo, l’inglese, il francese, la sua prima lingua. A Parigi sottolineano incantati questa «francofonie» eroica. Eccolo dunque in tutti i suoi stati, un Rousseau immuscolito che passeggia nella tribù dei Waziri, fratello di Ercole e cugino di Romolo, un san Giorgio in perizoma che abbatte esotici dragoni, un angelo che la cattiveria umana costringe a uscire dal giardino dell’Eden. Lo accompagna la infinita e prolifica parentela del bimbo perduto che arriva a Dickens, Eugène Sue e Ettore Malot.
E pensare che Burroughs non ha mai messo piede in Africa. Le sue foreste sono uraganose, sproporzionate, improbabili, pullulano di palazzi tribù feroci tempeste vulcani regni spariti.
Previdente Burroughs: Tarzan nasce già pronto la settima arte. Il grido, quel «yaooooh» con cui si getta da un albero all’altro, non è già cinematografico? E lo ha immaginato, con il fisico ammaliante, il sorriso che si spalanca, una capacità di gioia ferina, la plastica del viso che nella lotta perde ogni frivolezza e si fa rude, modellata con il bronzo degli eroi degli antichi scultori. Pronto per traslarsi nei muscoli di Johnny Weissmuller. Già, dei 20 suoi interpreti, in fondo, il nuotatore appare il più gracilino: forse il successo è dipeso proprio dal fatto che ogni spettatore poteva dire che anche lui viveva sugli alberi, nuotava nei fiumi e faceva a botte con i gorilla.
E poi Tarzan e l’erotismo del cinema. Nella mostra si può ammirare il suo Himalaya, la scena del bagno in «L’uomo scimmia» del 1932. Indimenticabile: quando Jane che ha dormito nuda sotto una pelle di bestia feroce avanza verso il fiume e si getta in tenuta di Eva. E il «vestito» di Tarzan? Quanto ha affaticato i costumisti. I più l’hanno risolto con il classico straccio-perizoma. Memorabile resterà la splendida mutanda di leopardo indossata da Glenn Morris, ex campione di decathlon in «Tarzan’s Revenge» del 1938.
Il Tarzan del quai Branly è uno stakanovista della foresta, il suo mestiere lo ha tutto nelle mani, nei bicipiti tricipiti dorsali sempre in estensione, sempre erculei. Armate di romani antropoidi amazzoni atlanti crociati uomini preistorici vichinghi bantu zulu watussi, la terra intera e perfino il centro della terra, cercano invano di impacciare la sua furia e di scomporla. E alla fine della mostra, zacchete!, ecco l’ultima incarnazione: il Tarzan «ecolò» che salva gli animali e la foresta, rompiteste di bracconieri, speculatori, estorsionisti che spunta oggi sulla pubblicità progressista. Yahooooooh!