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 2009  giugno 17 Mercoledì calendario

GLI SPAGNOLI NON CI CAPIRANNO MAI


 stata una buona Italia arricchita dalla scoperta di Rossi. Buona velo­cità, molta concentrazione, qualche nu­mero tecnico, niente di eclatante ma una partita severa, di grande dignità. Non tutti però la pensano così. Gli spa­gnoli per esempio parlano della «solita Italia» oscura e sovversiva che prende il massimo con il minimo. un attacco da nuovi nobili del calcio e va capito. Noi siamo da sempre tutto quello che non capiscono. Hanno una ragione di base: è vero che non giochiamo come lo­ro. Il loro football è più bello del nostro, privilegiano la sfida personale, cercano quindi il numero. Non hanno una forte visione del gioco. Amano il calcio come festa, in campo e sugli spalti. Abbiamo molto da imparare da loro sotto questo aspetto. Non portano uno striscione nel­lo stadio. Non è proibito, è solo che non viene in mente. Il massimo della conte­stazione è sventolare tutti insieme faz­zoletti bianchi. Ma bisogna proprio che la squadra vada malissimo. Non hanno messaggi politici da lanciare o business di curva da gestire. Vanno a vedere il calcio per divertirsi e il bello è che spes­so ci riescono.

Il loro errore è pensare che a questi livelli esista un calcio migliore di un al­tro. questa mancanza di pragmati­smo che li tiene più in basso dell’Italia. Loro giocano per il gioco, noi per il risul­tato. Siamo meno latini noi italiani per­ché lo siamo stati molto prima di loro e abbiamo anche capito gli antidoti. Non si va a un torneo mondiale per insegna­re calcio. Non esiste il tempo, non è ri­chiesto. Si gioca sempre in condizioni estreme (troppo caldo o troppo freddo), dopo una sessantina di partite in stagio­ne e con la prospettiva di giocarne altre una volta ogni tre giorni. Il vero valore è resistere e dare alla resistenza una logi­ca. Cercare di imporla prima che ci ven­ga imposta dagli altri. Non è la cosa più bella, sono d’accordo con gli spagnoli, è solo la migliore. Ci sono ottant’anni di risultati che lo dimostrano. La nostra fortuna è che sappiamo fare meglio esat­tamente quello che serve in questi tor­nei. Ci piacerebbe giocare bene come la Spagna, ma non è previsto. Ne abbiamo discusso tra di noi per quarant’anni, da Foni a Sacchi, da Viani a Capello, e lo abbiamo scientificamente escluso. Con qualche eccezione moderna, ma fonda­mentalmente escluso.

Dicono gli spagnoli che lo scandalo in­fine è Giuseppino Rossi, uno nato in America che rinnega la propria terra per quella degli avi. Anche questa è una conclusione troppo normale. Non tiene conto del familismo italiano, del nostro culto della lontananza, cioè di tutto. E soprattutto non tiene conto della memo­ria. Cosa sarebbe stato il Real della leg­genda senza Di Stefano e Puskas, non esattamente spagnoli?