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 2009  giugno 17 Mercoledì calendario

I CONSUMI DELLE CITTA’ PROSCIUGANO IL MONDO


Misurata l’impronta ecologica, a ogni italiano servono 4,15 ettari per produrre le risorse e assorbire i rifiuti


Operazione sorpasso riu­scita: più della metà de­gli abitanti della Terra (6 miliardi e 800 milioni) oggi risie­de nelle aree urbanizzate del pia­neta. Addio campagna, questa è una strada senza ritorno: il nu­mero dei «cittadini» (il 10% un secolo fa) crescerà ancora nei prossimi decenni. Un fenomeno epocale, secondo la Population division delle Nazioni Unite, che significa una cosa sola: il piane­ta Terra rischia di finire in riser­va, in termini di sostenibilità ambientale e di consumi energe­tici.

A espandersi in maniera tu­multuosa sono le cosiddette me­galopoli, aree metropolitane con più di 10 milioni di abitanti. Attualmente sono venti: popola­zione complessiva, 300 milioni. Cent’anni fa la città più grande al mondo era Londra, con 6,5 mi­lioni di abitanti. Oggi, la capitale inglese non compare nemmeno nelle top 20. In cima alla classifi­ca c’è Tokio, con quasi 36 milio­ni: un secolo fa non raggiunge­va il milione e mezzo. A quel­­l’epoca, le città con più di un mi­lione di residenti erano una ven­tina; negli anni 60 erano diventa­te 65; nel 2000 avevano superato quota 500. La Cina ne conta una marea: 23, e undici di esse stan­no sopra i due milioni.

Appare del tutto evidente che il sorpasso città-campagna e la tumultuosa crescita delle mega­città siano da considerare fonte di enormi problemi ambientali e sociali: le aree urbanizzate occu­pano soltanto il 2% della superfi­cie terrestre, ma consumano tre quarti delle risorse complessive del pianeta ed evacuano immen­se quantità di gas inquinanti, ri­fiuti, liquami tossici.

Londra, per esempio, ha un metabolismo spaventoso: per creare ciò che la capitale londine­se consuma e digerisce serve un’area 125 volte più grande.

Milano, nel suo piccolo, è an­che peggio: estesa per «soli» 181 chilometri quadrati (Londra 1580, Tokio Prefettura 2.187, Cit­tà del Messico 5.000), ha un con­sumo che richiede un’area di produzione trecento volte più grande.

Gli scienziati parlano di «im­pronta ecologica», complesso in­dice statistico che misura appun­to la porzione di territorio neces­saria a produrre le risorse utiliz­zate e ad assorbire i rifiuti. Più è alto il valore, più il livello di so­stenibilità diventa problemati­co. Grossomodo, un americano ha bisogno di 9,6 ettari di terra (96 mila metri quadrati) per «ammortizzare» ciò che consu­ma in un anno; un contadino ci­nese «solo» 1,6 (ma un cittadino di Shanghai è già a 7); un italia­no 4,15. Se dividiamo il numero della popolazione per la superfi­cie di territorio realmente dispo­nibile, scopriamo che l’america­no è messo male e l’italiano non sta molto meglio: al primo man­ca una quota di territorio di 4,8 ettari, al secondo di 3,14. quel­lo che viene chiamato deficit ecologico. Per inciso: secondo il Global Footprint Network, l’ente «misuratore», l’umanità dovreb­be imparare a vivere equamente entro un’impronta ecologica di 1,78 ettari pro capite, poco più della superficie di due campi di calcio.

Ma come risponde la scienza, e in generale l’intelligenza uma­na, a questi problemi? Non certo caldeggiando un bucolico ritor­no alla vita di campagna: le stati­stiche spiegano che gli standard di vita moderni comportano po­chissime differenze di impatto ambientale tra chi vive in campa­gna e chi in città. La via d’uscita appare una sola: puntare a un nuovo stile di vita cittadino, av­viando economie di scala nella produzione di energia, nel rici­clo dei rifiuti, nel trasporto pub­blico, persino nella produzione di una quota di cibo occorrente a chi ci vive. ciò che oggi urba­nisti, architetti e ingegneri chia­mano in senso lato «città ecolo­gica », dopo decenni passati a so­stenere lo sviluppo di modelli di urbanizzazione come se cemen­to e combustibili fossero risorse illimitate, i rifiuti scarti da trasfe­rire il più lontano possibile, le automobili un bisogno non solo di mobilità ma persino di liber­tà.

«Una città verde al 100% è im­pensabile – spiega l’urbanista italo-americano Raymond Lo­renzo, presidente della coopera­tiva sociale AbCittà – ma qual­cosa si può fare. Soprattutto nei nuovi insediamenti, partendo dalla riduzione secca del traffico privato e dall’utilizzo di fonti di energia rinnovabili».

Demonizzare l’automobile non ha senso, ma è indubbio che tra i progetti pilota per una città ecocompatibile l’auto non rappresenti una priorità. Se Grist, rivista online specializza­ta in temi ambientali (www. grist.org), promuove Reykjavik come la città più verde del mon­do, il pensiero va subito ai suoi trasporti pubblici, che dal 2003 funzionano a idrogeno e hanno sostanzialmente eliminato le au­to private dall’area urbana. Co­me dice Andrea Masullo, profes­sore di Sostenibilità ambientale all’Università di Camerino, «le città vanno riorganizzate soprat­tutto riducendo la necessità di trasporto e distribuendo in ma­niera strategica, per esempio, poli ospedalieri e servizi ammi­­nistrativi, magari sfruttando ap­pieno le possibilità della Rete. Mettere del verde a caso, come spesso si fa, serve a poco».

Ridurre drasticamente le emissioni di C02 e altri veleni è comunque un imperativo al qua­le non ci si può sottrarre. Ma co­me? Ancora Lorenzo: «Va accor­ciata la filiera economica, pro­duttiva, energetica e sociale. Do­ve si è tentato, magari in realtà piccole, parziali ma comunque significative, il successo è arriva­to: penso a Cleveland, a Davis, in California, ma anche a città europee come Copenhagen o Monaco di Baviera».

«Pensare diversamente le cit­tà – spiega Carlo Carraro, pro­fessore di economia ambientale all’Università di Venezia – si­gnifica anche una diversa conce­zione degli edifici che la com­pongono. Il loro ciclo vitale, dal­la scelta dei materiali ai bisogni energetici, deve essere autono­mo e a costo zero per l’ambien­te ».

Costruire ecocittà, più che un’affascinante scommessa, è una necessità. Ma i risultati, per ora, non sono pari alle aspettati­ve. Basti guardare Dongtan, un’isola nell’area di Shanghai, in Cina, modello di città a emis­sioni zero in grado di ospitare mezzo milione di persone: a tre anni dal lancio, il progetto è an­cora sulla carta. Oppure siamo a livelli onirici: se cliccate su gre­enpeace. org.uk potrete andare ad abitare a EfficienCity, posto davvero fantastico, per vedere l’effetto che fa. Meglio pensare a salvare il salvabile? Lorenzo con­corda: «Non esiste ricetta, ma qualche punto fermo sì. Nelle città cresceranno nuovi quartie­ri: è lì che si deve agire. Ma l’uo­mo deve fare un passo indietro nei bisogni e nelle pretese».

Conclude Carraro: «Fonti rin­novabili, utilizzo pensato delle risorse naturali, meno sprechi: la città si salva solo se saprà ba­stare a se stessa». una sfida che non va rimandata.

La strategia Le emissioni di Co2 vanno ridotte, accorciando la filiera economica e produttiva: come a Cleveland e Monaco L’architettura

Gli edifici dei futuri centri urbani devono essere progettati come autonomi e a costo zero per l’ambiente