Guido Olimpio, Corriere della sera 16/06/2009, 16 giugno 2009
IL MARCHIO JIHADISTA CHE CONTRADDICE LA PISTA DEI CLAN SCIITI
WASHINGTON – Ognuno ha il suo nemico perfetto. Neppure lo Yemen sfugge alla regola e dunque ha subito accusato del misterioso massacro di stranieri i ribelli sciiti di Al Houthi. In un Paese con il culto delle armi, dove le questioni politiche e personali si risolvono anche con il pugnale non si può escludere che qualcuno del clan possa essersi macchiato dell’attacco indiscriminato. Gli Al Houthi, in rivolta dal 2004, sostenuti dall’Iran, sono protagonisti di una battaglia senza quartiere contro il potere. Attacchi all’esercito, bombe nelle moschee sunnite, minaccia continua alla sicurezza. E le autorità hanno replicato con il loro stile. Mano pesante e repressione. L’insurrezione si è aggiunta alla «seconda ribellione», più sociale ed economica, nelle regioni meridionali e alla cronica insofferenza delle tribù.
Il confronto tra potere centrale e clan è stato spesso segnato dalle prese di ostaggi, diventate quasi un marchio. Ma, a parte un paio di casi, i prigionieri sono tornati in libertà dopo il pagamento di un buon riscatto. Un modus operandi consolidato e redditizio per gli insorti. Se ora avessero deciso di cambiare tattica rappresenterebbe davvero una sorpresa sanguinosa e strana. Perché lo hanno fatto? Si possono solo fare ipotesi. Volevano imbarazzare il governo. In difficoltà, hanno voluto disfarsi dei prigionieri.
Ma gli osservatori – compresi quelli tedeschi e arabi – sono molto cauti sul coinvolgimento degli Al Houthi o di altri clan. Il profilo dell’attacco, sostengono, spinge a sospettare la mano dei qaedisti. Una tesi appesa ad alcuni elementi non secondari. Primo) I precedenti: gli islamisti hanno ucciso 8 spagnoli nel 2007 e due belgi nel gennaio 2008, quindi in marzo hanno attaccato due gruppi sudcoreani. Secondo) Le minacce: i terroristi hanno annunciato attacchi contro i turisti «pagani» che «portano la corruzione nella nostra terra e giocano un ruolo nella diffusione del cristianesimo». Le ultime vittime potrebbero essere state considerate alla stregua di missionari, dunque bersagli legittimi nella propaganda integralista.
Sotto la guida di Nasir Al Wahayshi, Qasim Al Rahimi e dell’ex prigioniero di Guantanamo Said Al Shikri, la Al Qaeda locale ha messo insieme militanti yemeniti e sauditi, ha riempito lo spazio virtuale (con una forte propaganda via Internet) e quello reale con uomini arrivati dall’intera penisola arabica, dalla Somalia e dal Pakistan. Con abilità gli estremisti hanno legato la lotta jihadista a quella tribale cercando nuovi consensi interni, quindi hanno unito gli obiettivi mettendo insieme il nemico vicino – il regime – con quello lontano, gli stranieri. Così hanno attaccato le ambasciate con operazioni complesse, precedute da buon lavoro di ricognizione e infiltrazione.
In modo sistematico, il vertice qaedista ha provato ad ampliare la propria base diventando riferimento non solo per gli yemeniti ma per l’arena jihadista regionale. Oggi, a giudizio delle intelligence occidentali, c’è il rischio concreto che il Paese si trasformi in un nuovo Afghanistan. I confini porosi favoriscono flussi di armi e uomini, permettono una saldatura con la componente saudita, rendono possibili rapporti con la nebulosa jihadista raccoltasi nel Corno d’Africa. Il kamikaze responsabile dell’attentato ad un bus di sudcoreani era stato addestrato proprio in Somalia e poi «prestato» alla colonna yemenita.
In base a questo scenario l’uccisione dei turisti – anche se resta da capire il reale bilancio – rappresenterebbe un nuovo messaggio di sangue alle autorità e agli «infedeli». Un modo per ribadire che Al Qaeda non tollera la presenza di stranieri sulla sua terra.
«Nemico perfetto» I ribelli Al Houthi sono il nemico perfetto del governo. Ma l’attentato richiama la nebulosa estremista