Domenico Quirico, la Stampa 15/06/2009, 15 giugno 2009
All’aeroporto di Luanda le delegazioni economiche si succedono a frotte: i cinesi che hanno fatto da pionieri ormai sono in minoranza, arrivano francesi, americani, indiani e sudcoreani
All’aeroporto di Luanda le delegazioni economiche si succedono a frotte: i cinesi che hanno fatto da pionieri ormai sono in minoranza, arrivano francesi, americani, indiani e sudcoreani. La compagnia aerea ”Emirate” ha inaugurato tre voli diretti la settimana da Dubai per gli uomini d’affari. Portano investimenti, proposte, progetti e una gran voglia di fare affari. Ottimi. I cinesi, certo, hanno già iniettato nel paese cinque miliardi di euro e si sono assicurati il 70% dei contratti, con migliaia di chilometri di strade, ferrovie, oltre ai quartieri residenziali. A cui provvedono ottantamila lavoratori arrivati da Pechino che sudano sotto il sole vampante a trasformare un paese che fino a poco tempo fa era uno dei più sciagurati del pianeta. Il terzo gigante mondiale Soud Ba’alawi, che guida il Dubai group, tesse gli elogi dell’Africa: «Negli ultimi vent’anni il continente ha conosciuto una buona crescita, il Pil è buono e per noi questo è molto interessante». Già: ecco l’Africa che non ti aspetti. Mentre l’Occidente trema per la recessione il continente tenuto in vita dalla ”rendita umanitaria”, attardato attorno ai fuochi dei suoi bivacchi preistorici, crescerà quest’anno del 2,8% e le previsioni per il 2010 sono del 4,5%. Javier Santino capo economista dell’Ocse quantifica: «L’Africa è il terzo apporto alla crescita mondiale dopo la Cina e India e il differenziale di crescita con i paesi ricchi resta positivo anzi si accresce». E la direttrice generale della Banca mondiale, Ngozi Okonjo-Iweala rincara: «Il continente più povero del pianeta appare come più propizio per gli investimenti che numerose altre regioni del mondo». Il miracolo dell’Angola Qui il Brasile ha aumentato del 500% i suoi scambi, il Canada è arrivato con un miliardo di dollari di credito aperto per entrare nel Grande Gioco. Nel nuovo Kuwait petrolifero africano tornano come emigranti i portoghesi: sì, quelli che erano fuggiti con la fine del loro sbrindellato impero, sono già più di centomila, perché la loro America adesso è qui. Sul lungomare di Luanda, fino a ieri scalcinato, dove si consumava al ritmo del fado lo spleen degli insabbiati, le gru innalzano giorno e notte gli scheletri di alberghi nuovi di zecca. Nei pochi già in funzione la grande compagnia degli uomini d’affari non ha tempo di annoiarsi: in Angola l’economia cresce al ritmo del 10% l’anno. Guai a distrarsi. Nel paese dei massacri, dell’afrocomunismo difeso dai barbudos di Castro hanno appena inaugurato la Borsa. Le rotte dell’oro nero L’Angola, dunque: ma non solo. Nel golfo di Guinea, per esempio, dove spuntano le piattaforme petrolifere in mare aperto, e paesi storditi dal sottosviluppo diventano alveari. Arrivano gli americani ad accudire questo nuovo Kuwait che vogliono senza fondamentalismi e confortevolmente più vicino alle rotte di casa. E ancora: a Pont Noire in Congo, 570 milioni di euro investiti dal gruppo francese Bolloré, uno dei colossi dell’Africa che rende, spesi per assicurarsi il porto per i containers. Ancora loro, con le bandiere della Franceafrique, a Kribi in Camerun per costruire il nuovo porto in acque profonde che servirà Centrafrica e Ciad, un altro caposaldo della manna petrolifera. E poi ferrovie strade depositi: chi avrà in mano i collegamenti, pensano giudiziosamente i francesi, sarà padrone di questo sviluppo futuro. La corsa a Internet e alle tlc Arriva fino in cielo il miracolo: è stato appena lanciato un satellite di tlc costruito per l’Africa subsahariana. L’americana Intelsat punta sul dinamismo di un mercato dove internet sta svolgendo il ruolo che il vapore ha avuto nella rivoluzione industriale. I costruttori di satelliti, intristiti dalla caduta degli ordinativi sui mercati di Europa e America lo sanno bene. I lussemburghesi di Ses Astra entro il 2010 metteranno in orbita due nuovi satelliti per Maghreb e Africa nera, progetti analoghi hanno anche i francesi di ”Eutelsat”. Ma sono gli africani ora che vogliono fare da soli, mettere nello spazio proprie stazioni; dopo Egitto e Nigeria appoggiati dai cinesi è la volta di Algeria Angola. Nascono le grandi imprese intercontinentali. La fusione tra l’indiana Barti e la sudafricana Mtn potrebbe dar origine a un gigante delle tlc con 200 milioni di abbonati in Africa e in Asia e venti miliardi di dollari di cifra d’affari. La banca marocchina Attijariwafa a novembre ha comprato 5 filiali del Crédit agricole: una fragrante ”revanche” creditizia. I motori della crescita Non sono i rincari delle materie prime a spiegare la crescita, anzi le economie che dipendono dalla esportazione dei prodotti di base sono le più fragili. A sostenere lo sviluppo sono gli investimenti, soprattutto nelle telecomunicazioni e nei servizi finanziari, i consumi e le spese pubbliche. Gli investitori istituzionali come i fondi pensione, che lo scorso anno si erano ritirati in modo massiccio, sono di ritorno. L’Africa, poi, dipende meno dai rapporti economici con l’occidente che l’avrebbe contagiata con la crisi. Ormai sono i paesi emergenti dell’Asia e dell’America Latina i partner commerciali migliori. L’Africa rende, e bene: il ritorno degli investimenti è in media tra il 24 e il 30%, contro il 16-18% dei paesi sviluppati. Eppure si potrebbe fare ancor meglio se non ci fossero la burocrazia inetta e infrastrutture primitive. Ma c’è il lato oscuro. La crescita non diventa sviluppo, ancora una volta le statistiche mentono. Dove va il denaro? Lo sviluppo africano riempie i forzieri dei conti nelle banche europee, serve a comperare proprietà immobiliari a Parigi, Londra, negli Usa per i leader, le loro tribù che fanno le veci delle borghesie emergenti. Il grande saccheggio, è stato definito: gli africani, avvolti negli stracci, raccattano le briciole.