Luca Ricolfi, La Stampa 15/06/2009, 15 giugno 2009
LA LEGGE CHE PIACE ALLA CASTA
Sembra che, sulle intercettazioni, si sia in dirittura di arrivo. Dopo un anno di aggiustamenti e di ritocchi, il relativo disegno di legge è stato approvato alla Camera giovedì (con il voto di fiducia), e da domani inizia il suo iter in Senato. La sostanza delle nuove norme si può riassumere in quattro punti. Primo: per un pubblico ministero diventerà molto più complicato richiedere e ottenere l’autorizzazione a intercettare (ci vorrà il parere di tre giudici, anziché di uno soltanto come oggi). Secondo: in molti casi le intercettazioni diventeranno semplicemente impossibili.
O perché il procedimento è contro ignoti (e manca l’autorizzazione della persona offesa), o perché non esistono «evidenti indizi di colpevolezza» (prima bastavano «gravi indizi di reato»). Terzo: dopo il 60° giorno le intercettazioni dovranno comunque essere interrotte. Quarto: la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni sarà sottoposta a forti restrizioni, con severe sanzioni a carico dei trasgressori (giornalisti e editori).
Indubbiamente la nuova disciplina rafforza la privacy e indebolisce il diritto di cronaca, uno scambio questo che fa imbufalire i giornalisti ma piace ai cittadini, almeno a giudicare dai risultati del sondaggio appena condotto da Ipsos per Il Sole - 24 Ore: i cittadini contrari alla pubblicazione delle conversazioni sono più del doppio di quelli favorevoli. Forse gli italiani sono meno assatanati di gossip di quanto li si immagina, o forse si sono convinti che in troppi casi la stampa non ha fatto un buon uso della libertà di cui godeva.
L’aspetto più importante del disegno di legge sulle intercettazioni, tuttavia, a me pare quello che riguarda la sicurezza. Qui è indubbio che l’effetto delle nuove norme sarà di rendere molto più difficile l’identificazione dei colpevoli di un delitto. Limitando l’uso di uno strumento investigativo fondamentale, le nuove norme aumenteranno la nostra privacy ma al prezzo di una minore sicurezza, di un minore contrasto nei confronti della criminalità in tutte le sue forme, da quella di strada a quella dei colletti bianchi e dei politici. E infatti i magistrati sono preoccupatissimi, come chirurghi cui è stato sottratto il bisturi, mentre i politici - pur non potendo sempre proclamarlo in pubblico - vedono assai bene una legge che ridurrà il rischio di essere «messi in piazza», e aumenterà il livello (già pericolosamente alto) di impunità nel caso commettano dei reati. Che la nuova legge piaccia ai politici, del resto, è rivelato da un fatto che ha sorpreso molti, e che dovrebbe farci riflettere: nel voto di fiducia di giovedì scorso, una ventina di deputati dell’opposizione hanno votato con il governo, ossia a favore delle norme che limitano la libertà dei magistrati di ricorrere alle intercettazioni. Quanto ai cittadini, il sondaggio citato rivela che in maggioranza stanno con i magistrati e contro il governo: preferiscono sacrificare un po’ di privacy pur di avere più sicurezza. Insomma: che i magistrati intercettino pure, ma che i giornalisti non esagerino con la diffusione del contenuto delle conversazioni.
Ci troviamo così di fronte a due fatti entrambi spiazzanti. Il primo è che la maggior parte dell’opinione pubblica è e resta giustizialista, nonostante i dati sulle intercettazioni mostrino in modo inequivocabile che vi è stato sia abuso sia arbitrio nel ricorso a esse: abuso, perché tra il 2001 e il 2007 (ultimo dato disponibile) il loro numero è esploso, senza un nesso plausibile con l’andamento dei delitti (le intercettazioni sono cresciute del 300%, i delitti del 30%); arbitrio, perché il ricorso alle intercettazioni è altissimo in alcuni distretti giudiziari e bassissimo in altri, con squilibri che non è possibile giustificare con le differenze nei «panieri» di reati tipici di ciascun distretto (il distretto che intercetta di più lo fa 13-14 volte di più del distretto che intercetta di meno). Peccato non esista un’opinione pubblica liberale: se ci fosse chiederebbe ai magistrati di darsi una regolata (meno intercettazioni, e più equità nella loro distribuzione fra i 29 distretti di Corte d’Appello), ma inorridirebbe di fronte al goffo tentativo dei politici di mettere sabbia negli ingranaggi della giustizia.
Il secondo fatto spiazzante riguarda il governo. Eletto anche grazie alla promessa di combattere la criminalità, sta per varare delle norme che ridurranno la sicurezza dei cittadini, e lo sta facendo in barba ai sondaggi, secondo cui la maggior parte degli italiani sono favorevoli alle intercettazioni come strumento di lotta al crimine.
Perché il governo, assai prudente in materia di riforme economico-sociali, nel caso della sicurezza pare invece deciso a correre il rischio dell’impopolarità?
Probabilmente per un complesso di ragioni. Una l’abbiamo già vista: questa legge piace ai politici, perché riduce il rischio di incorrere in guai giudiziari. Una seconda possibile ragione è che l’effetto della legge sarà di alleviare la pressione su un sistema carcerario avviato al collasso: meno intercettazioni significa meno colpevoli scoperti, quindi meno condanne, quindi meno ingressi in carcere. Una boccata d’ossigeno per un governo che non vuole varare un nuovo indulto, non osa depenalizzare parte dei reati, ma nello stesso tempo è incapace di aumentare i posti in carcere.
La vera ragione per cui il governo va avanti per la sua strada, però, a me sembra un’altra ancora, ed è la mancanza di concorrenza. A parole la sicurezza interessa a tutte le forze politiche, ma non vi è nessun partito importante pronto a sfidare il governo su questo terreno. La lotta al crimine resta, nonostante tutto, un tema «di destra», che ai partiti di sinistra non interessa, o interessa solo a parole, o interessa solo a condizione che le politiche anti-crimine siano cattivissime con i reati dei mafiosi e dei colletti bianchi, e buonissime con quelli di immigrati e criminali comuni. Così, quando fra quattro anni si farà il bilancio di questa legislatura, non ci sarà nessuno - dall’opposizione - che rimprovererà il governo di non essere stato abbastanza duro con la criminalità.
Dunque, dal suo punto di vista, Berlusconi fa bene a mettere in difficoltà la magistratura. Tutela se stesso. Tutela la casta, compresi i politici dell’opposizione inguaiati con la giustizia. Ha persino ragione su diverse cose. E comunque, quando verrà il momento di tirare le fila di cinque anni di governo, nessuno avrà le carte in regola per chiedergli il conto.