Ferruccio Sansa, La Stampa 15/06/2009, 15 giugno 2009
IL BRIDGE ALLENA I POTENTI
Una giacca a vento blu, i pantaloni beige e un paio di mocassini. A guardarlo così, mentre tiene in mano le carte, sembrerebbe un giocatore qualunque. Ma se leggi il cartellino, scopri che quel signore è Romain Zaleski, finanziere protagonista del mondo della Borsa.
E quella donna con un vestito a fiori e la pettinatura curata? Emma Castro. Sì, la sorella di Fidel e di Raul.
Siamo a Sanremo. Nella sala del Palazzo dei Fiori centinaia di coppie fino al 27 giugno si affrontano per i campionati europei di bridge. A scorrere i nomi sugli schermi scopri il bel mondo: Castro, Zaleski, poi Antoine Bernheim, Maria Teresa Lavazza della dinastia del caffè. E Francesco Angelini che stampa il suo nome su milioni di medicine. Per non dire di norvegesi, francesi, inglesi… armatori e finanzieri con una fortuna che vale il Pil di una nazione. Manca solo Bill Gates, ma è dovuto andare in Africa. In tutto sono 2.100 giocatori di 65 paesi.
Il carattere
Uno spettacolo da vedere. Gli esperti - in sala, e 30.000 collegati via Internet - osservano le giocate. I profani capiscono poco, perché questo gioco nato nel XVIII secolo in Inghilterra ha regole complesse, ma vale lo stesso la pena godersi la scena di questi vip dall’espressione impassibile. Abbandonati doppiopetti e abiti da sera, eccoli a battersi come leoni. Certo, questo è un gioco, ma la voglia di essere i primi rimane. Del resto, come ricorda il giocatore Carlo Simeoli, «il carattere di una persona viene sempre fuori a tavola e al tavolino». Da gioco, si intende.
E allora bisogna guardarlo con le carte in mano, Romain Zaleski. «E’ un giocatore di ghiaccio», commenta Simeoli. Appena si siede al tavolino, gli occhi azzurri diventano gelidi, impenetrabili. La grinta del giocatore di Borsa. Non muove un muscolo. Un solo tic, mentre si sistema gli occhiali sottili. Di fianco ha un signore: maglietta a fiori e aspetto pacioso. Ma di nuovo non bisogna farsi ingannare: è un armatore norvegese. Intorno al tavolo da bridge si ripetono gli scontri e le alleanze che scuotono la finanza. Sono battaglie meno cruente, non ci si giocano fortune, ma alla fine non tutti la prendono con filosofia: c’è sempre un vincitore. E uno sconfitto. «Mi sono allenato per due mesi con la mia compagna di squadra», sospira Zaleski. Ma perché tanta passione? «Perché il bridge è la vita, c’è tutto in questo gioco». Il segreto per vincere? «Passione e concentrazione». C’è chi racconta che, ai tempi in cui il suo impero fu quasi travolto da 5 miliardi di debiti, Zaleski era in Cina per un torneo.
La donna nuda
Emma Castro ha un’espressione dolce, è cortese e disponibile. Ma anche lei, appena tocca le carte, mette paura: occhi che non si muovono di un millimetro. Solo la mano ogni tanto liscia il vestito. Viene da immaginarla mentre gioca con Fidel e Raul. Ma lei scoppia a ridere: «Loro non sanno nemmeno che cosa sia il bridge». Poi racconta: «L’indole latina e quella del Nord, però, vengono fuori. Noi siamo più espansivi». E torna a quel tavolino che sembra disegnato da uno psicanalista: due avversari stanno seduti uno accanto all’altro, senza mai guardarsi in faccia. Poi una paratia di legno per rendere impossibile ogni comunicazione con i due compagni dall’altra parte.
Passione e concentrazione, dunque. E intorno al tavolino nascono migliaia di aneddoti. Come la proverbiale attenzione del campione inglese Terence Rice. Per metterlo alla prova gli fecero girare intorno una modella nuda. «Che cosa hai visto?», gli chiesero alla fine. E lui: «L’asso di fiori».
Disciplina
Ci vuole disciplina: «Faccio sport e training autogeno, bisogna avere nervi d’acciaio e un fisico in forma per stare otto ore al tavolo», racconta Norberto Bocchi, uno degli assi italiani. «Poi una dieta curata e niente doping», spiega Giannarrigo Rona, presidente della Lega Europea del Bridge. Doping? «Sì, non gli anabolizzanti, ma i betabloccanti che rendono più scattante il cervello». E’ il muscolo più utile.
Davvero un mondo a parte, il bridge. Con le sue regole. Primo non mettersi in squadra con il consorte. In America le cronache ricordano che un giocatore furente per la sconfitta sparò alla moglie. In Italia una ricca signora veneta stese il marito con una frase: «Tasi ti, che ti xe becco, e se te lo digo mi ti pol star sicuro».