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 2009  giugno 15 Lunedì calendario

Il mondo guarda a Teheran e legge negli scontri di piaz­za, nelle proteste e nella repressione di polizia, la lotta per la poltrona pre­sidenziale tra Ahmadinejad e lo sfi­dante Mousavi

Il mondo guarda a Teheran e legge negli scontri di piaz­za, nelle proteste e nella repressione di polizia, la lotta per la poltrona pre­sidenziale tra Ahmadinejad e lo sfi­dante Mousavi. Il più famoso dissi­dente iraniano, Akbar Ganji, no. Ganji punta il dito più in alto, ol­tre i due contendenti, direttamente in cima alla scala del potere, al «sulta­no » come Ganji chiama la Guida Su­prema Alì Khamenei. Il presidente anti americano e l’ex premier mode­rato sono, nell’analisi di Ganji, poco più che pupazzi, marionette di un po­tere che non hanno e non hanno mai avuto. «La forza e l’intera macchina istituzionale ed economica fa capo a una sola persona, la Guida Suprema Alì Khamenei. Se, per assurdo un giorno il presidente decidesse di fare di testa sua, ogni altro organo statale che dovrebbe lavorare con lui si met­terebbe di traverso, paralizzandone ogni velleità». Cinque anni di carcere duro ad Evin l’hanno convinto a scappare dal­­l’Iran. Ganji, giornalista e politologo, oggi è esule nel New Jersey. Al sicu­ro. Ed è da lì, per telefono, che ri­sponde alle domande del Corriere. Cosa pensa stia accadendo al suo Paese? «Chiamatelo colpo di Stato, chia­matela repressione, per me è solo un’operazione di svecchiamento. come un serpente che cambia pelle. Si contorce, si strofina contro le roc­ce. A volte può anche graffiarsi e san­guinare. Ma è un problema di super­ficie ». Qui a Teheran si parla di giganti del regime messi sotto sorveglian­za o addirittura arrestati. Davvero solo graffi? «Esatto. Per il regime, naturalmen­te, non per i singoli protagonisti. Per­sonaggi come Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, ex presidente negli anni ”90, o Natek Nouri, ex presidente del Parlamento, o Mehdi Karrubi, uno dei candidati sconfitti, nei 30 anni di storia rivoluzionaria hanno accumu­lato poteri enormi. A differenza di lo­ro, Ahmadinejad è un nessuno. Il presidente e questa sua rielezione farsesca esistono solo in quanto stru­menti della lotta intrapresa dalla Gui­da Suprema con gli altri titani. Sem­bra che Alì Khamenei abbia deciso di toglierli di mezzo. Ci saranno contor­cimenti e graffi. Ma il corpo del ser­pente, il regime nel suo complesso, resterà assolutamente integro». Se è giusta questa sua analisi, la reazione dei rivali della Guida Su­prema è potenzialmente devastan­te. «Lotteranno, è vero. La lettera aperta di Rafsanjani ad Alì Khame­nei aveva proprio questo scopo: to­gliere di mezzo Ahmadinejad e salva­re se stesso. Il primo obbiettivo è sta­to clamorosamente mancato. Per il secondo vedremo. Ma sono scettico sulla possibilità che Rafsanjani e gli altri nel mirino questa volta soprav­vivano ». E perché lui o lo stesso Mousavi inneggiato dai cortei, non dovreb­bero mettersi alla testa di una rivol­ta popolare? «Sarebbe logico, ma non accadrà. successo persino in un Paese come lo Zimbabwe. Lì i capi delle opposi­zioni davanti a palesi brogli elettora­li, hanno invitato la gente a scendere in strada e grazie alla presenza del popolo e alla pressione internaziona­le, il dittatore Robert Mugabe si è tro­vato costretto a condividere parte del potere. Ma in Iran questo non lo farà mai nessuno». Perché? «Per due ragioni. La prima psicolo­gica. Rafsanjani, Nou­ri, Karrubi, Mousavi si riconoscono nel siste­ma della Repubblica e agiscono nel quadro costituzionale. Invite­ranno la popolazione alla calma e si rivolge­ranno alle autorità reli­giose e alla Guida. Cioè lotteranno con le armi del sistema. La se­conda ragione è di pu­ro opportunismo. San­no di non avere alternative. Se ci fos­se una rivolta tale da rovesciare il re­gime, il loro posto e il loro futuro non sarebbero affatto garantiti». E Khatami? L’ex presidente rifor­mista è stato forse costretto a ritira­re la propria candidatura alle ele­zioni. Ora anche il suo partito è sot­to pressione con attivisti arrestati. Se lui desse un segno sarebbero in tanti a seguirlo. «Per Khatami vale il discorso degli altri. Anche lui è interno al sistema. Più volte ha dichiarato che la Repub­blica Islamica è la più grande conqui­sta del nostro popolo, che non ha un’alternativa migliore e che è un’or­ganizzazione politica santa. Come può guidare una rivoluzione contro tutto ciò?». Andrea Nicastro