Cristiano Dell’Oste Gianni Trovati, ཿIl Sole-24 Ore 15/6/2009;, 15 giugno 2009
LETTERE PERDE LA GARA DI AFFIDABILIT
La «soddisfazione» degli studenti è stata finora la grande incognita nel dibattito sull’università. La sua latitanza, però, dovrebbe finire presto, perché dal 2010 gli atenei saranno obbligati a misurarla e a pubblicare i dati, pena l’impossibilità di attivare i corsi. Lo chiede la parte finora meno pubblicizzata dei «requisiti necessari», quelli che imporranno anche di avere almeno quattro docenti di ruolo per ogni anno di corso, e di pubblicare i curricula dei docenti e i dati sul successo occupazionale di chi si è laureato. «Il Sole 24 Ore» prova in questa pagina ad anticipare i contenuti della riforma, o almeno ad in-terpretarne lo spirito, con l’aiuto delle indagini più recenti di AlmaLaurea sugli sbocchi occupazionali e il profilo dei neolaureati negli atenei che fanno parte del consorzio (ora sono 53). Per non correre rischi con interpretazioni troppo aleatorie, nel gruppo dei dieci indicatori che permettono di costruire la «piramide della soddisfazione» trovano spazio una serie di indicatori oggettivi, dal tasso di occupazione all’incidenza di stage o borse di studio, utili per offrire un termometro di efficienza dei corsi di laurea.
A raccogliere i voti migliori sono le lauree del gruppo chimicofarmaceutico, che guidano una pattuglia di testa dominata dalle aree scientifiche: il gruppo medico ( che oltre a medicina e chirurgia abbraccia anche le lauree per le professioni sanitarie) è al secondo posto, e anche le aree di scienze, agraria e ingegneria si piazzano bene. Il campo umanistico e sociale si addensa nelle ultime cinque posizioni e si mette in luce nella metà alta della graduatoria solo con il gruppo di economia ( da sempre uno dei più solidi sul mercato) e dell’insegnamento ( forte delle lauree in scienze della formazione primaria, che hanno valore abilitante).
Dietro il successo di chimica e farmacia – 365 punti su un massimo possibile di 500 ”ci sono alcuni primati pesanti: i neolaureati in queste materie sono i più contenti del proprio corso di laurea (il 43,6% di loro si dichiara «decisamente soddisfatto»), hanno il secondo miglior risultato in termini di occupazione a un anno dal titolo (lavora il 57,9%) e il terzo miglior stipendio mensile (in media 1.107 euro netti).
All’altro capo della classifica, invece, ci sono i neolaureati del gruppo letterario, che collezionano solo 146 punti. E che registrano alcune performance decisamente sotto la media: il reddito mensile medio (776 euro netti, peggior risultato in assoluto), il numero di studenti che concludono gli studi entro i tempi previsti (29%, secondo peggior risultato) e la percentuale di allievi che, potendo, rifarebbero lo stesso corso nella stessa università (64,1%, secondo peggior risultato). Poco importa, in questo contesto, che i letterati siano tra i più felici dei propri docenti: il dato non basta a invertire la tendenza rilevata dagli altri indicatori.
Importante, poi, la spaccatura quasi perfetta che si riscontra rispetto alla percentuale di studenti che frequentano regolarmente almeno tre lezioni su quattro. Le materie scientifiche superano sistematicamente quelle umanistiche, e il risultato – oltre a dar conto di un minor numero di lezioni a frequenza obbligatoria – deve far riflettere anche sull’impostazione di una didattica di cui la maggioranza degli studenti sceglie di non avvalersi. Coerentemente, quando si tratta di tirare le somme meno di un neolaureato su quattro promuove a pieni voti i propri docenti.
I risultati della graduatoria del Sole 24 Ore consentono anche di guardare in controluce la realtà universitaria italiana. Un mondo in cui – rileva ancora AlmaLaurea – solo il 39,4% dei ragazzi conclude gli studi in corso e solo il 53,3% ha l’opportunità di svolgere stage e tirocini durante gli anni dell’università ( dato che si abbassa al 41,3% se si considerano solo le esperienze di lavoro effettuate al di fuori del proprio ateneo). Per non parlare dei programmi di studio che guardano anche all’estero: in media le università italiane riescono a far fare un’esperienza straniera a poco più di uno studente su dieci, ma anche questo dato tutt’altro che esaltante è gonfiato dalla performance "obbligata" dell’area linguistica. curioso, però, il fatto che oltre la metà degli studenti si laurei in una lingua straniera senza mai passare il confine.