Massimo Gramellini, La Stampa 13/6/2009, 13 giugno 2009
L’altra sera ho visto in tv un calciatore della nazionale,credo fosse Gilardino, intervistato dopo una doppietta ai pur bravi neozelandesi
L’altra sera ho visto in tv un calciatore della nazionale,credo fosse Gilardino, intervistato dopo una doppietta ai pur bravi neozelandesi. Mentre gli chiedevano se era contento di aver segnato una doppietta ai pur bravi neozelandesi, mi sono sorpreso a suggerirgli: «Pietà, non rispondere come tutti i tuoi colleghi: i gol fanno sempre piacere, ma mi interessa di più essere stato utile alla squadra». Infatti, dopo una breve pausa per raccogliere le idee, il calciatore ha risposto: «I gol fanno sempre piacere, ma mi interessa di più essere stato utile alla squadra». Vorrei tanto segnare una doppietta ai pur bravi neozelandesi. Non per il fatto in sé. Ma per il piacere di poter rispondere: «Non me ne frega niente di essere stato utile alla squadra, cioè un po’ sì, ma senza esagerare. Invece sono felice come una trota perché ho segnato due gol». Mi auguro che Debora Serracchiani, al pari degli altri quarantenni che si affacciano alla ribalta della politica all’età in cui Blair era già primo ministro, e quindi in Italia vengono chiamati «giovani», analizzi a fondo le interviste dei calciatori. Il linguaggio è il vero simbolo di una casta e si tramanda di generazione in generazione con il suo gergo banale, le sue allusioni oscure, la sua mancanza di sincerità. Obama docet: ogni cambiamento è anzitutto un cambiamento di linguaggio. Il modello inimitabile resta Giolitti, che a un parlamentare che lo accusava di aver fatto un discorso troppo breve rispose: «Chiedo scusa. Ma io, quando ho finito di dire quel che ho da dire, ho finito anche di parlare».